Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Kaufmann, il «re dei tenori» e i suoi segreti
Stasera concerto a Caserta. Un’antropologa ne analizza il «laboratorio interpretativo»
Un’estate da re nella Reggia di Caserta per accogliere un «vero» re, il re dei tenori Jonas Kaufmann. Il raffinato interprete di un repertorio che fa sognare da oltre dieci anni centinaia di migliaia di followers di tutto il mondo, ammiratori di una voce «unica» che racconta in italiano, inglese, francese, tedesco l’eterne passioni umane e politiche. Una sorpresa che ci appare davvero miracolosa.
Un’estate da re nella reggia di Caserta per accogliere un “vero” re, il re dei tenori Jonas Kaufmann. Il raffinato interprete di un repertorio che fa sognare da oltre dieci anni centinaia di migliaia di followers di tutto il mondo, ammiratori di una voce “unica” che racconta in italiano, inglese, francese, tedesco l’eterne passioni umane e politiche.
Una sorpresa che ci appare davvero miracolosa, conoscendo l’agenda di Jonas kaufmann: nel solo nel mese di luglio ha cantato Parsifal e Die Walküre a Monaco di Baviera, il concerto dolce vita al Waldbühnen di Berlino in un repertorio condiviso con Anita Rachvelishvili segnato dalla tradizione italiana, poi i recitals a Madrid e al Castello di Peralada con repertorio francese e tedesco e infine il 3 agosto al festival di Salisburgo per cantare una “gemma”, gli Italienisches Liederbuch di Hugo Wolf, con la soprano Diana Damrau, già presentati durante l’inverno 2018 nei maggiori nei teatri europei, purtroppo non ancora in italia.
Che cosa vuol dire essere il più grande tenore del mondo? È la tecnica, il timbro della sua voce, il suo linguaggio corporeo minimalista e intenso che ogni volta che appare sul palcoscenico ci regala sempre qualche cosa di nuovo e di inaspettato? Il carisma di Jonas Kaufmann è una sintesi di tutti questi fattori: lo seguo da molti anni e devo confessare senza pudore che spesso prima di accettare di fare una conferenza o essere in una commissione di dottorato in Europa o negli Stati Uniti consulto il suo calendario e poi suggerisco le mie disponibilità. Sarà cosi il 20 settembre a Parigi o ancora il 23 ottobre a New York, sarà cosi a Londra nell’aprile 2019. I miei colleghi universitari si sono rassegnati alla mia fluttuante disponibilità e sempre più spesso mi propongono date di lavoro in coincidenza con la presenza di Jonas Kaufmann sul loro territorio. Lo sanno bene gli organizzatori del Friday Seminar in antropologia della Harvard University, quando hanno compreso che la mia presenza al seminario nell’ aprile 2018 sarebbe stata legata alla data del concerto di Boston, in cui per la prima volta il tenore, accompagnato dalla soprano Camilly Nylunde e diretto da Andris Nelsons, ha presentato una parte del suo Tristano, il secondo atto che sarà pronto interamente fra circa tre anni.
Jonas Kaufmann racconta la vita attraverso nuances di una voce particolare che si scurisce, si lega, si spegne nei suoi pianissimo inimitabili, scolpendo ogni parola con delicatezza e forza, con tragicità eroica ma sempre velata di malinconia.
Un esempio ? Die Walküre di poche settimane fa quando invoca il padre con il suo Wälse o i differenti crescendi del Goot di Florestano nei numerosi Fidelio da lui interpretati.
Vi è comunque una particolarità in Jonas Kaufmann che da studiosa di antropologia mi interessa e mi seduce. La dimensione che mi piace definire di “laboratorio interpretativo” che il tenore sperimenta sullo stesso personaggio e a mio avviso in modo indipendente dalla regia.
Sappiamo bene che gli spettacoli lirici sono soggetti oggi più che in passato a regie “forti” e che i cantanti spesso sono forzati se non obbligati dalla linea direttrice imposta. Ma il laboratorio interpretativo di Kaufmann, a mio avviso, è cosa ben diversa. Se si ha la fortuna di poter assistere a più rappresentazioni dello stesso spettacolo, ci appaiono disegni interpretativi sempre diversi dello stesso personaggio esplici- tando in filigrana i molti volti della stessa tragedia o umanità. Non un solo Otello o Werther o Florestano o Parsifal, Tristano, Mario, non “personaggi” già definiti dall’architettura teatrale dell’opera ma un mutar di pelle a volte appena tracciato dalle note dello stesso compositore. Recentemente a distanza di pochi giorni ho assistito allo stesso concerto: il secondo atto di Tristano a Boston e a Carnegie hall di New York. Nelle due serate mi sono apparse due immagini dello stesso Tristano: uno più eroico, forte, impetuoso , un altro emotivo, romantico, incerto. Capolavori entrambi nel far emergere la complessità umana di fronte all’amore.
“L’aura” della voce e del gesto di Jonas Kaufmann diventa allora spazio privilegiato per svelare ogni aspetto della humana fragilitas.
Come leggere in sintesi quello che mi piace definire «il laboratorio interpretativo» di Jonas Kaufmann? Vi è un elemento centrale della personalità del tenore che si insinua in tutti i suoi personaggi e credo anche nelle relazioni con gli altri. Un’intelligenza emotiva che nella quotidianità o sul palcoscenico non ha paura di mostrare il desiderio e l’intensità della vita e parimenti la consapevolezza della fragilità che ci abita.
Organizzo le mie lezioni in base al calendario dei suoi concerti in giro per il mondo
Nella sua ricerca contano la tecnica, il timbro della voce e il suo linguaggio corporeo minimalista