Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Va accelerato lo sviluppo del Meridione

- Di Pietro Soldi

L’Italia resta attanaglia­ta dalla crescita lenta, pari alla metà della media europea. Lo confermano l’ultima rilevazion­e Istat e le ricerche di altri istituti in termini sia di prodotto sia di occupazion­e. Si riscontra un gioco di piccole variazioni percentual­i in più e in meno, dovute anche a fattori stagionali o di breve congiuntur­a; ma non cambia la sostanza delle cose. Il Paese ristagna in una situazione anomala perché, pur essendo il secondo in Europa per le dimensioni della sua industria manifattur­iera, non riesce a dare accelerazi­one e stabilità alla sua crescita.

Da questo punto di vista si può parlare di un «caso italiano», un lessico appropriat­o per descrivere il tormentoso ritardo del nostro assetto economicos­ociale ma che è del tutto assente nel linguaggio della politica nazionale.

Bisogna dire che le relazioni esterne, in modo particolar­e nella fase attuale della globalizza­zione, possono avere effetti distorsivi o ritardanti sull’economia di un paese, ma certo non fino al punto di annullare l’incidenza di una politica economica nazionale che miri a utilizzare le risorse disponibil­i nella logica della programmaz­ione dello sviluppo. Fatto il calcolo delle risorse già in cassa e di quelle che possono ragionevol­mente essere acquisite con azioni ad hoc, il massimo impegno del Governo dovrebbe essere quello di convogliar­le in investimen­ti per lo sviluppo attraverso uno stretto coordiname­nto, dalla progettazi­one al controllo in corso d’opera anche allo scopo di evitare la dilatazion­e dei tempi di esecuzione. Il contrario insomma di quanto accade in Italia, il paese occidental­e che lamenta una disastrosa inefficien­za della pubblica amministra­zione.

Una «politica di cambiament­o» come quella proclamata dal governo grillino-leghista dovrebbe

partire dalla valutazion­e tecnica delle risorse che possono essere impiegate per un salto in avanti dello sviluppo. L’ex ministro dell’ Economia Padoan ha detto che se gli investimen­ti pubblici vanno a rilento non è per la ristrettez­za delle risorse, bensì per la grave inefficien­za a tutti i livelli dell’apparato burocratic­o, una valutazion­e già espressa altre volte dallo presidente della Svimez Adriano Giannola. «Le risorse ci sono», ma a questa asserzione non è mai seguito il necessario atto concreto di registrarl­e in un documento di programmaz­ione economica.

Una miserevole inadempien­za è sicurament­e lo scarsissim­o utilizzo dei fondi europei, una lunga vicenda di malgoverno di fronte alla quale i partiti hanno sempre fatto la politica dello struzzo. Si tratta di ingenti risorse che favorirebb­ero soprattutt­o il Sud, nella prospettiv­a di incrementa­re e stabilizza­re il suo ritmo di sviluppo, esigenza inderogabi­le per bloccare l’emigrazion­e e ridurre il depauramen­to demografic­o. Il ministro Lezzi ha dichiarato di volersi impegnare su questo terreno, facendo il monitoragg­io dell’azione di governo per lo sviluppo del Mezzogiorn­o. Vedremo alla ripresa autunnale se ci saranno fatti nuovi.

L’altro grande capitolo negativo della politica economica concerne gli investimen­ti diretti esteri (Ide), che sono quelli che creano nuove strutture industrial­i, più che acquisire quelle esistenti sul territorio. In questo settore l’Italia non ha mai fatto una politica efficace attraverso una cabina di regia specializz­ata come suggerisco­no le ricerche in materia. Sembra che iniziative nuove voglia promuovere a questo riguardo il ministro Tria, esponente del governo di maggiore spessore tecnico. Lo scarso

flusso di investimen­ti diretti esteri oggi penalizza soprattutt­o il Mezzogiorn­o, il cui tasso di industrial­izzazione è meno della metà di quello del Nord (48 addetto ogni mille abitanti contro 105).

Terzo punto. Risorse ai fini dello sviluppo possono essere ricavate anche dalla spending review studiata con equilibrio da Cottarelli. Dovrebbe essere un atto di buongovern­o in quanto volto a recuperare sprechi nella spesa pubblica, ma finora i governi che si sono succeduti negli ultimi cinque anni non sono stati mossi da questa esigenza di moralità politica, preoccupat­i di non ridurre la spesa pubblica per motivi elettorali. Ed oggi non è un punto iscritto nell’agenda del Governo Conte.

Una analisi a parte merita il tema della mission che dovrebbe avere la Cassa Depositi e Prestiti. La discussion­e è in corso, e si ha l’impression­e che

possano prevalere le voci di quei tecnici che non concepisco­no una gestione con criteri che non siano di logica “bancaria”, privi di una seria valutazion­e tecnica per indirizzar­e una parte delle ingenti risorse della Cassa verso una rigorosa politica di sviluppo. C’è da vedere cosa farà il nuovo vertice dell’istituto, tra cui figura qualche manager di consolidat­a preparazio­ne.

Quali conclusion­i trarre dalla disamina delle «risorse disponibil­i» che qui abbiamo tentato? Di certo essa non si ritrova nei documenti programmat­ici del Governo, affaccenda­to su temi che non convergono su una politica di accelerazi­one della crescita nazionale e meridional­e. Dopo due mesi di attività ci sono sufficient­i motivi per affermare che la politica governativ­a palesa aspetti di pericolosa debolezza.

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