Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Va accelerato lo sviluppo del Meridione
L’Italia resta attanagliata dalla crescita lenta, pari alla metà della media europea. Lo confermano l’ultima rilevazione Istat e le ricerche di altri istituti in termini sia di prodotto sia di occupazione. Si riscontra un gioco di piccole variazioni percentuali in più e in meno, dovute anche a fattori stagionali o di breve congiuntura; ma non cambia la sostanza delle cose. Il Paese ristagna in una situazione anomala perché, pur essendo il secondo in Europa per le dimensioni della sua industria manifatturiera, non riesce a dare accelerazione e stabilità alla sua crescita.
Da questo punto di vista si può parlare di un «caso italiano», un lessico appropriato per descrivere il tormentoso ritardo del nostro assetto economicosociale ma che è del tutto assente nel linguaggio della politica nazionale.
Bisogna dire che le relazioni esterne, in modo particolare nella fase attuale della globalizzazione, possono avere effetti distorsivi o ritardanti sull’economia di un paese, ma certo non fino al punto di annullare l’incidenza di una politica economica nazionale che miri a utilizzare le risorse disponibili nella logica della programmazione dello sviluppo. Fatto il calcolo delle risorse già in cassa e di quelle che possono ragionevolmente essere acquisite con azioni ad hoc, il massimo impegno del Governo dovrebbe essere quello di convogliarle in investimenti per lo sviluppo attraverso uno stretto coordinamento, dalla progettazione al controllo in corso d’opera anche allo scopo di evitare la dilatazione dei tempi di esecuzione. Il contrario insomma di quanto accade in Italia, il paese occidentale che lamenta una disastrosa inefficienza della pubblica amministrazione.
Una «politica di cambiamento» come quella proclamata dal governo grillino-leghista dovrebbe
partire dalla valutazione tecnica delle risorse che possono essere impiegate per un salto in avanti dello sviluppo. L’ex ministro dell’ Economia Padoan ha detto che se gli investimenti pubblici vanno a rilento non è per la ristrettezza delle risorse, bensì per la grave inefficienza a tutti i livelli dell’apparato burocratico, una valutazione già espressa altre volte dallo presidente della Svimez Adriano Giannola. «Le risorse ci sono», ma a questa asserzione non è mai seguito il necessario atto concreto di registrarle in un documento di programmazione economica.
Una miserevole inadempienza è sicuramente lo scarsissimo utilizzo dei fondi europei, una lunga vicenda di malgoverno di fronte alla quale i partiti hanno sempre fatto la politica dello struzzo. Si tratta di ingenti risorse che favorirebbero soprattutto il Sud, nella prospettiva di incrementare e stabilizzare il suo ritmo di sviluppo, esigenza inderogabile per bloccare l’emigrazione e ridurre il depauramento demografico. Il ministro Lezzi ha dichiarato di volersi impegnare su questo terreno, facendo il monitoraggio dell’azione di governo per lo sviluppo del Mezzogiorno. Vedremo alla ripresa autunnale se ci saranno fatti nuovi.
L’altro grande capitolo negativo della politica economica concerne gli investimenti diretti esteri (Ide), che sono quelli che creano nuove strutture industriali, più che acquisire quelle esistenti sul territorio. In questo settore l’Italia non ha mai fatto una politica efficace attraverso una cabina di regia specializzata come suggeriscono le ricerche in materia. Sembra che iniziative nuove voglia promuovere a questo riguardo il ministro Tria, esponente del governo di maggiore spessore tecnico. Lo scarso
flusso di investimenti diretti esteri oggi penalizza soprattutto il Mezzogiorno, il cui tasso di industrializzazione è meno della metà di quello del Nord (48 addetto ogni mille abitanti contro 105).
Terzo punto. Risorse ai fini dello sviluppo possono essere ricavate anche dalla spending review studiata con equilibrio da Cottarelli. Dovrebbe essere un atto di buongoverno in quanto volto a recuperare sprechi nella spesa pubblica, ma finora i governi che si sono succeduti negli ultimi cinque anni non sono stati mossi da questa esigenza di moralità politica, preoccupati di non ridurre la spesa pubblica per motivi elettorali. Ed oggi non è un punto iscritto nell’agenda del Governo Conte.
Una analisi a parte merita il tema della mission che dovrebbe avere la Cassa Depositi e Prestiti. La discussione è in corso, e si ha l’impressione che
possano prevalere le voci di quei tecnici che non concepiscono una gestione con criteri che non siano di logica “bancaria”, privi di una seria valutazione tecnica per indirizzare una parte delle ingenti risorse della Cassa verso una rigorosa politica di sviluppo. C’è da vedere cosa farà il nuovo vertice dell’istituto, tra cui figura qualche manager di consolidata preparazione.
Quali conclusioni trarre dalla disamina delle «risorse disponibili» che qui abbiamo tentato? Di certo essa non si ritrova nei documenti programmatici del Governo, affaccendato su temi che non convergono su una politica di accelerazione della crescita nazionale e meridionale. Dopo due mesi di attività ci sono sufficienti motivi per affermare che la politica governativa palesa aspetti di pericolosa debolezza.