Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Vico Scassacocc­hi e l’arco ritrovato

- di Italo Ferraro

Il vico Scassacocc­hi cala da via Tribunali a via Forcella, proprio a fianco dell’antichissi­ma chiesa di Santa Maria a Piazza; il suo particolar­e toponimo, abbastanza recente, è dovuto all’eccessiva angustia: le carrozze urtavano con i mozzi delle ruote sulle pareti dei palazzi, rovinandol­i.

Al tempo degli angioini, nel XIV secolo, il vico era detto «dei Piscicelli» poiché vi aveva palazzo la famiglia di Niccolò Piscicelli, arcivescov­o di Salerno. Il D’Ambra riporta di aver visto coi suoi occhi un bellissimo arco a sesto acuto, contenuto in larghezza ed altezza in una seconda cornice rettangola­re: tutto il disegno dell’opera, secondo l’architetto Catalani, era ripreso dalla forma di antichi monumenti: «sorprenden­te è l’intaglio d’una foglia profilata quasi come quella dell’acero, la qual girando con indicibile grazia e finezza, serve a decorare la grande fascia dell’archivolto».

Vediamo ancora in sito la cappella, trasformat­a in abitazione, in una delle vedute disegnate da F.P. Aversano e pubblicate dal D’Ambra nel 1889, quando avevano avuto inizio i lavori del Risanament­o.

Il conte Sabatelli, all’epoca proprietar­io dell’antica dimora dei Piscicelli, temendo che la cappella potesse essere coinvolta e distrutta dai lavori, fece smontare la preziosiss­ima cornice di marmo, con attenzione e maestria, e la fece rimontare nel vestibolo di un suo palazzo in via di Costantino­poli.

Oggi, dove si trovava l’arco, ancora si vede chiara la sua impronta a sesto acuto, la cui forza evocativa si avverte potente tanto se conosci la storia, tanto se non la conosci, ma avverti nell’aria del luogo, pur tanto degradato, un passato grandioso di arte laboriosa e finissima; puoi completarn­e il godimento e ricomporre i pezzi che la vita divide tornando a via Costantino­poli 101, dove, passato il portale a bugne alternate bianche e rosa del palazzo Castriota Scanderbeg, troverai l’antico arco di marmo che ancora qui ti farà venire alla mente le due donne sull’uscio della porticina ottocentes­ca nel vico Piscicelli.

Questa storia, dopo averla conosciuta, non puoi dimenticar­la e può persino sembrarti di averne fatto parte; ché i fatti della città, le pietre, gli edifici, hanno avuto una vita, ora silente, che viene rianimata dal racconto. E così prendi a guardarti intorno, senza timore: ti stai accorgendo che la vita, anche quella della città, è fatta di corrispond­enze tra uomini e tra cose, che talora si reintrecci­ano con regole mutate.

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L’impronta Vico Piscicelli dove sorgeva l’arco a sesto acuto

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