Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Com’è avara l’estate in Cilento
Visibile flessione turistica Nessun coordinamento e la ferita di Velia senza Elea
In Cilento questa è un’estate avara che, in una stima empirica e ancora non sostenuta adeguatamente dalle cifre, infligge duri colpi al turismo e al suo indotto. Eppure il mare è sempre blu, il paesaggio, escludendo le antiche ferite, è ancora bello, la cultura materiale — cibo e vino — attrattiva come la qualità della vita in questa che è la terra della longevità.
È auspicabile che le stime empiriche fatte da tanti eloquenti segnali vengano presto smentite. Aspettiamo settembre. Intanto colpisce la fastidiosa assenza di qualsiasi coordinamento istituzionale e imprenditoriale capace di presentare l’area come un bene da offrire. Un bene pieno di differenze che lo rendono potenzialmente capace di rispondere ai desideri di differenti fasce di «viaggiatori e viaggiatrici». Non mancano certamente iniziative: spettacoli, rassegne, sagre, feste e riti. Fra le più prestigiose VeliaTeatro che però, come ha ben denunciato il Corriere
del Mezzogiorno domenica scorsa, dopo vent’anni è stata costretta traslocare dall’area archeologica — strutturalmente legata alla sua missione di divulgazione della cultura classica — in una sede privata (Fondazione Alario ndr) per ragioni assai contraddittorie che meriterebbero una riflessione capace di non censurare le mille implicazioni e la dolosa indifferenza.
Molte occasioni culturali sono decontestualizzate (potrebbero avvenire qui come in Val d’Aosta) ispirate da quella mefitica concezione tipica di un paese televisivo quale il nostro è diventato, indifferente alla storia delle comunità e disinteressata a tutte le forme di racconto collettivo che sostanziano percorsi di crescita e di consapevolezza. Ma quella degli eventi senza storia e senza geografia è una vecchia questione. Perché non è ancora ben chiaro che, senza il coinvolgimento di quello che resta delle comunità, non si fa cultura ma si risponde a una idea convenzionale di essa che non affronta efficacemente i nodi irrisolti che gravano sul Mezzogiorno.
Un vecchio e dannosissimo adagio sostenuto da una parte della stessa sinistra campana escludeva che il turismo potesse essere una delle risposte ai mali che affliggevano la nostra economia: «Non possiamo avere come modello la California» si diceva in polemica con chi tentava strade anche inedite per questo settore che ci ha visti come Paese primi nel mondo. E così il turismo ha imboccato la strada dello spontaneismo e della frantumazione. La strada del clientelismo che finanziava opere o sosteneva progetti di impresa dissennati, con una ricaduta occupazionale molto modesta, con nessuna attenzione all’urgenza di avere occasioni di formazione capaci di generare un’offerta di qualità. Agriturismo pretesti per trattorie e, oggi, B&B disseminati a ogni angolo.
L’assenza di qualsiasi cultura di impresa. La frattura fra interno e costa si è accentuata e le straordinarie risorse storiche e paesaggistiche delle zone «dell’osso» soffrono di una solitudine che neanche la vivacità di qualche bravo amministratore riesce a superare.
Conosco bene i danni che può produrre il ricorso ad una modellistica rigida e so che le scelte programmatiche devono scaturire, per essere efficaci e durature, anche dalla volontà delle comunità e non da progettisti illuminati guidati dal loro narcisismo intellettuale.
So anche, però, che è urgente rispondere collettivamente e con diffusa consapevolezza alla domanda: quale turismo? Quale ruolo per le aree costrette ai margini di uno «sviluppo» che continua ad essere napolicentrico? Chi vogliamo che venga a conoscere il Cilento? A chi rivolgiamo la nostra offerta? Come armonizziamo in un quadro unitario che ospita le differenze considerandole risorse, l’interno e la costa? Come «formalizziamo» un patto che abbia la natura e la storia come nuclei portanti e che ci trasformi in un esempio virtuoso di armonia territoriale?
Di fronte allo spopolamento — che I dialoghi sul male di Ceraso dello scorso maggio hanno affrontato con contributi di Gioacchino Criaco, Franco Arminio, Natascia Festa e Fabrizio Mangoni — basta attestarsi sul fronte della denuncia o è necessario pensare nuove risposte capaci di coinvolgere tutti gli attori?
L’Università di Salerno può provare a sperimentare forme di decentramento virtuoso delle sue attività? È proprio impossibile pensare il Cilento come sede di una specializzazione in Economia del turismo che si offra ai Paesi del Mediterraneo e che abbia come obiettivo la fidelizzazione di viaggiatori che cercano bellezza, autenticità, relazioni significative senza ignorare contraddizioni e «cattiverie» che il presente ci propone? Come generiamo vincoli condivisi all’azione pubblica e a quella privata? Che cosa significa l’accorpamento di due ministeri (Agricoltura e Turismo) e la scomparsa conseguente di qualsiasi specificità del turismo?
Lucio Lombardo Radice tanti anni fa parlando e auspicando alcune riforme (la scuola, la sanità etc) scrisse che una riforma può avere successo se in ogni sua parte si aggira un pizzico di socialismo. Io credo che la risposta alle flessioni e agli accenni significativi di crisi non possa essere che una risposta capace di andare alla radice delle questioni e non di accontentarsi di una frantumazione che allude e presagisce un irrefrenabile declino.