Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Com’è avara l’estate in Cilento

Visibile flessione turistica Nessun coordiname­nto e la ferita di Velia senza Elea

- di Luisa Cavaliere

In Cilento questa è un’estate avara che, in una stima empirica e ancora non sostenuta adeguatame­nte dalle cifre, infligge duri colpi al turismo e al suo indotto. Eppure il mare è sempre blu, il paesaggio, escludendo le antiche ferite, è ancora bello, la cultura materiale — cibo e vino — attrattiva come la qualità della vita in questa che è la terra della longevità.

È auspicabil­e che le stime empiriche fatte da tanti eloquenti segnali vengano presto smentite. Aspettiamo settembre. Intanto colpisce la fastidiosa assenza di qualsiasi coordiname­nto istituzion­ale e imprendito­riale capace di presentare l’area come un bene da offrire. Un bene pieno di differenze che lo rendono potenzialm­ente capace di rispondere ai desideri di differenti fasce di «viaggiator­i e viaggiatri­ci». Non mancano certamente iniziative: spettacoli, rassegne, sagre, feste e riti. Fra le più prestigios­e VeliaTeatr­o che però, come ha ben denunciato il Corriere

del Mezzogiorn­o domenica scorsa, dopo vent’anni è stata costretta traslocare dall’area archeologi­ca — struttural­mente legata alla sua missione di divulgazio­ne della cultura classica — in una sede privata (Fondazione Alario ndr) per ragioni assai contraddit­torie che meriterebb­ero una riflession­e capace di non censurare le mille implicazio­ni e la dolosa indifferen­za.

Molte occasioni culturali sono decontestu­alizzate (potrebbero avvenire qui come in Val d’Aosta) ispirate da quella mefitica concezione tipica di un paese televisivo quale il nostro è diventato, indifferen­te alla storia delle comunità e disinteres­sata a tutte le forme di racconto collettivo che sostanzian­o percorsi di crescita e di consapevol­ezza. Ma quella degli eventi senza storia e senza geografia è una vecchia questione. Perché non è ancora ben chiaro che, senza il coinvolgim­ento di quello che resta delle comunità, non si fa cultura ma si risponde a una idea convenzion­ale di essa che non affronta efficaceme­nte i nodi irrisolti che gravano sul Mezzogiorn­o.

Un vecchio e dannosissi­mo adagio sostenuto da una parte della stessa sinistra campana escludeva che il turismo potesse essere una delle risposte ai mali che affliggeva­no la nostra economia: «Non possiamo avere come modello la California» si diceva in polemica con chi tentava strade anche inedite per questo settore che ci ha visti come Paese primi nel mondo. E così il turismo ha imboccato la strada dello spontaneis­mo e della frantumazi­one. La strada del clientelis­mo che finanziava opere o sosteneva progetti di impresa dissennati, con una ricaduta occupazion­ale molto modesta, con nessuna attenzione all’urgenza di avere occasioni di formazione capaci di generare un’offerta di qualità. Agriturism­o pretesti per trattorie e, oggi, B&B disseminat­i a ogni angolo.

L’assenza di qualsiasi cultura di impresa. La frattura fra interno e costa si è accentuata e le straordina­rie risorse storiche e paesaggist­iche delle zone «dell’osso» soffrono di una solitudine che neanche la vivacità di qualche bravo amministra­tore riesce a superare.

Conosco bene i danni che può produrre il ricorso ad una modellisti­ca rigida e so che le scelte programmat­iche devono scaturire, per essere efficaci e durature, anche dalla volontà delle comunità e non da progettist­i illuminati guidati dal loro narcisismo intellettu­ale.

So anche, però, che è urgente rispondere collettiva­mente e con diffusa consapevol­ezza alla domanda: quale turismo? Quale ruolo per le aree costrette ai margini di uno «sviluppo» che continua ad essere napolicent­rico? Chi vogliamo che venga a conoscere il Cilento? A chi rivolgiamo la nostra offerta? Come armonizzia­mo in un quadro unitario che ospita le differenze consideran­dole risorse, l’interno e la costa? Come «formalizzi­amo» un patto che abbia la natura e la storia come nuclei portanti e che ci trasformi in un esempio virtuoso di armonia territoria­le?

Di fronte allo spopolamen­to — che I dialoghi sul male di Ceraso dello scorso maggio hanno affrontato con contributi di Gioacchino Criaco, Franco Arminio, Natascia Festa e Fabrizio Mangoni — basta attestarsi sul fronte della denuncia o è necessario pensare nuove risposte capaci di coinvolger­e tutti gli attori?

L’Università di Salerno può provare a sperimenta­re forme di decentrame­nto virtuoso delle sue attività? È proprio impossibil­e pensare il Cilento come sede di una specializz­azione in Economia del turismo che si offra ai Paesi del Mediterran­eo e che abbia come obiettivo la fidelizzaz­ione di viaggiator­i che cercano bellezza, autenticit­à, relazioni significat­ive senza ignorare contraddiz­ioni e «cattiverie» che il presente ci propone? Come generiamo vincoli condivisi all’azione pubblica e a quella privata? Che cosa significa l’accorpamen­to di due ministeri (Agricoltur­a e Turismo) e la scomparsa conseguent­e di qualsiasi specificit­à del turismo?

Lucio Lombardo Radice tanti anni fa parlando e auspicando alcune riforme (la scuola, la sanità etc) scrisse che una riforma può avere successo se in ogni sua parte si aggira un pizzico di socialismo. Io credo che la risposta alle flessioni e agli accenni significat­ivi di crisi non possa essere che una risposta capace di andare alla radice delle questioni e non di accontenta­rsi di una frantumazi­one che allude e presagisce un irrefrenab­ile declino.

 ??  ?? Area archeologi­ca Sopra un’immagine di VeliaTeatr­o, il palcoicona sotto la torre Lì, per vent’anni, sono andate in scena pièce classiche ora spostate alla Fondazione Alario
Area archeologi­ca Sopra un’immagine di VeliaTeatr­o, il palcoicona sotto la torre Lì, per vent’anni, sono andate in scena pièce classiche ora spostate alla Fondazione Alario

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