Corriere del Mezzogiorno (Campania)

‘O bellillo, il subappalto e il cemento

- di Fortunato Cerlino

«Appalti, concession­i, subappalti! Magna Italo! Abboffate!».

Rosario non è sempre così. In genere se ne sta calmo e non dà fastidio a nessuno. Alla terza bionda da sessantase­i cl però, attacca il sermone. Nel rione lo conoscono e dopo la prima bottiglia lo mandano via, ma lui cambia bar.

«Quando i bambini fanno oh! Che meraviglia, che meraviglia!». Canticchia.

«Oh! Se ne è caduto ‘o ponte a Genova, oh!». Ride amaramente e sbatte la bottiglia di birra sul tavolino.

Adesso vive di espedienti ed elemosina ma era un bravissimo muratore. Aveva un lavoro ed una famiglia. Un giorno vide troppo. Il presidente dell’impresa edile per cui lavorava non si era accorto di lui dietro la porta. Passò la busta con la tangente a ‘o bellillo. Rosario, che era passato in ufficio per farsi firmare un permesso, la moglie stava per dare alla luce il secondo figlio, fece una faccia che non piacque a ‘o Bellillo.

«Che sfaccimma tieni ‘a guarda’!». Gli ruggì uscendo in corridoio.

Rosario sapeva chi era quel soggetto. Sapeva che non doveva reagire. All’inizio infatti abbassò la testa.

«Se te fai scappa’ na sola parola te faccio penti’ e essere nato, mmerda!».

La capata in pieno volto fece cadere al suolo ‘o bellillo con il naso rotto.

«Io nun songo nisciuno, sono solo nu mastro fravecator­e, eppure a vede’ le fotografie ‘e chillu ponte era chiaro che là ‘ncoppa non ci doveva salire nessuno!». Ragiona Rosario parlando con un interlocut­ore di fronte a lui.

Il giorno dopo venne buttato fuori dal cantiere.

«Ci sta poco da fare, quanno lavori con i soldi pubblici pensi solo a arrubba’, è vero Italo?». Ma Italo non risponde perché non esiste.

Tornando a casa venne aggredito e lasciato in fin di vita in un vicolo buio.

«La disonestà è addiventat­a talmente n’abbitudine che nun fa nemmeno notizia. E non sto parlanno dei politici, della camorra. Quelli fanno ‘o mestiere lloro. Sto parlanno di te Italo! Di te, che te la cavi sempre.».

Sul portone per alcuni mesi sostarono due sentinelle del clan di ‘o bellillo. Alla porta di casa venne cambiata la serratura. La moglie aveva l’ordine di non farlo rientrare a casa.

«Tu, uomo comune, che stai sempre pronto ad accusare, a scandalizz­arti. Tu, che quanno tocca a te, ti attribbuis­ci una autorizzaz­zione morale per arrubbare – ‘o fanno tutti quanti, mo vuoi vedere che proprio io avessa cambia’ l’Italia... Ma poi tengo famiglia!»

«Rosario, nunn’alluccà, sennò te ne caccio!».

«Scusate don Alfo’, scusate». Dopo un paio di anni passati in strada, abbandonat­o dal popolo e dalla giustizia, Rosario è diventato il barbone che tutti conoscono.

«Se ti mischi con chi puzza più di te, ‘o fieto tuojo si sente di meno!». Dice tra i denti buttando giù un altro sorso.

La giustizia funzionò benissimo quando si trattò di accordare il divorzio alla moglie. Adesso aspetta il terzo figlio da un altro uomo. Una brava persona che piace a chi deve piacere.

«Guarda sta fotografia... parla chiaro. Sai cosa dice Italo?». Continua Rosario agitando un giornale. «Dice che facciamo schifo! Lo vedi il cemento consumato? Lo vedi ‘o fierro arrugginit­o? Non c’è bisogno di scomodare esperti e procure per capire chello che è succieso a Genova, chiunque si occupa di edilizia te lo sa dire. Quanno si fa la colata, ‘o fierro deve essere completame­nte coperto da uno strato sufficient­e di cemento, che non deve essere liquido, ma denso al punto giusto. Il cemento poi deve essere vibrato, in modo che l’aria sale e non si formano bolle. ‘O fierro deve rimanere compresso e isolato. Però per fare le cose a mestiere, oltre ‘a cuscienza, ci vuole tempo e denaro. Ma tu mi dirai caro Italo – ma na vota che aggio fatto magnà ‘o politico, e poi ‘o camorrista, mi sai dire comme faccio a far tornare i conti?».

Rosario butta giù l’ultimo sorso. «E allora cerchi di chiudere i lavori come puoi, e invece della sabbia vulcanica ci metti ‘a sabbia ‘e Licola o del villaggio Coppola insieme al cemento. Sabbia che contiene salsedine, che è veleno per il ferro. È vero Italo?».

Italo non risponde. Non può rispondere. Per un attimo Rosario sembra rendersi conto di parlare con il vento. Si gratta i capelli sporchi. Si strofina la faccia come per svegliarsi.

«Poi però muoiono ‘e creature, ggente innocente... ‘O Padreterno na cosa l’ha sbagliata. Doveva dare la possibbili­tà a tutti i morti innocenti di perseguita­re i loro assassini. Ogni notte, ogni juorno. Forse però ‘o Padreterno ha ricevuto pure isso nu subappalto per realizzare sta creazione scadente!».

Lancia la bottiglia vuota contro il muro di fronte al bar. Si alza e va via lasciando la mancia sul tavolino.

La sua ex moglie lo vede passare. Si nasconde per non farsi riconoscer­e. A casa la aspettano i due figli avuti con Rosario e il padre della creatura che porta in grembo. È un maschietto. Nel rione si dice che vorrebbe chiamarlo Italo.

«Quando i bambini fanno oh! Che meraviglia, che meraviglia!». Canticchia Rosario mentre si allontana barcolland­o, ma senza perdere l’equilibrio.

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