Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LE OPERE CHE IL SUD ASPETTA
Il disastroso crollo del ponte di Genova, tra i numerosi problemi che ha sollevato, ha posto al centro, con ancor maggiore incisività, la mai risolta questione del completamento e dell’ammodernamento dell’armatura infrastrutturale. Soprattutto al Sud. Un obiettivo auspicato da tutti, a parole, più volte evocato come nodo prioritario dai governi di qualunque colore, e dai più rinomati centri economici e tecnici, ma che è tragicamente rimasto sempre avvolto nell’ombra, annoverato tra le pie intenzioni mai attuate. Ce ne accorgiamo ogni qualvolta avviene una tragedia, come nei casi di alluvioni, quella di Sarno è ancora negli occhi di quanti l’hanno vissuta, di smottamenti, di persistenti dissesti idrogeologici. Ora torna prepotentemente d’attualità, a cominciare dai pericoli insiti in troppi viadotti e cavalcavia mal manutenuti, che, come opportunamente ha messo in evidenza nell’edizione di ieri il Corriere del Mezzogiorno, sono a forte rischio di stabilità, in Campania ma anche in tante altre regioni del Sud, a cominciare dalla Sicilia. I ponti rappresentano solo la punta dell’iceberg. Perché il vero tema con il quale fare i conti, ieri, oggi, e, probabilmente, anche domani, è come rinnovare e ammodernare le grandi infrastrutture italiane, prime tra tutte quelle meridionali. E porta con sé tre aspetti rilevanti: primo, i tempi di attuazione di un’opera. Come non ricordare l’Autostrada del Mediterraneo, più nota come Salerno Reggio Calabria?
Per progettare, costruire, modernizzare, ampliare a tre corsie la quale ci sono voluti complessivamente 55 anni, più di mezzo secolo? Sarà pure un caso limite, ma resta un dato inoppugnabile: nel nostro paese, e segnatamente nel Mezzogiorno, per completare un’opera ci vogliono decenni mentre in
altre nazioni del mondo ciò avviene in tempi brevissimi, per non dire lampo.
Reduce da un viaggio in Cina, ho appreso che lì un’impresa di costruzioni locale ha completato un grattacielo di 57 piani in 19 giorni lavorativi. In Italia i tempi medi per ultimare un’opera pubblica sono 4 anni e mezzo: 2 anni e 6 mesi per la progettazione, 6 mesi per l’affidamento dei lavori e 1 anno e 4 mesi per realizzazione e collaudo. Naturalmente tutto poi dipende dalle dimensioni dell’opera. Per quelle che superano i 100 milioni, come dighe, viadotti, ponti o lotti autostradali, si arriva fino a 14 anni e 6 mesi.
Secondo aspetto è quello di carattere politico e strategico, più che finanziario: è indispensabile avere coscienza che, senza queste
primarie infrastrutture moderne e competitive, che oltretutto creano sviluppo e occupazione, si condanna il Mezzogiorno a una marginalità e irrilevanza per chissà quanti anni ancora. Non tutte le forze politiche oggi in maggioranza, in particolare i 5 Stelle, sono d’accordo su questa linea.
Terzo e ultimo, le risorse finanziarie con cui realizzare queste grandi opere, siano esse di completamento o piuttosto di straordinaria manutenzione. Ci sono, è vero, i fondi europei, soprattutto quelli del Pon Infrastrutture e Reti, ma come ben sappiamo sono spesi col contagocce. Lo dimostrano alcuni grandi progetti ben al di là da essere terminati: solo in Campania si possono fare gli esempi dell’Alta Capacità su rotaia Napoli-Bari e del collegamento ferroviario veloce tra Battipaglia e Reggio Calabria. I fondi nazionali, invece, sono da troppi anni ormai dirottati verso altri obiettivi. Come dimostrano le previsioni, in base alle quali nel 2019 il livello degli investimenti pubblici al Sud, pur in lieve aumento rispetto al 2017, dovrebbe essere inferiore di 4 miliardi e mezzo se raffrontato al 2010.
L’ormai imminente legge di bilancio sarà il banco di prova per vedere se il governo giallo verde ha compreso questa lezione fino in fondo, o se si continueranno, come è avvenuto nel corso della lunga recessione, a ridurre le spese per investimenti infrastrutturali nelle aree meridionali.