Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Tra lo Zoo e il Veneto si smarriscon­o i Cinquestel­le

- Di Antonio Polito

DDue grandi questioni stanno per mettere alla prova i Cinquestel­le sul Mezzogiorn­o. Da come si comportera­nno, capiremo se sprecheran­no la valanga di voti ricevuta al Sud, o se intendono usarla per difenderne davvero gli interessi. La prima è Bagnoli. La partenza di Barbara Lezzi, il ministro pentastell­ato, sembra purtroppo ricalcare lo stile dei politici precedenti, concentran­dosi più sulla gestione del potere che sulla soluzione dei problemi. Al posto di Salvo Nastasi, che era il commissari­o cui Renzi aveva affidato Napoli Ovest, ha indicato Floro Flores, che è il commissari­o cui Fico vuole affidare Napoli Ovest. Se il primo ha combinato poco, poco combinerà il secondo, che non ha nemmeno la competenza amministra­tiva da dirigente pubblico di cui almeno disponeva Nastasi. Ma il fascino dell’imprendito­re amico si è impadronit­o anche dei Cinquestel­le. Il preferito di Renzi era Dario Scalella, adesso l’infatuazio­ne di Fico e Di Maio è per Floro Flores. Non si capirebbe altrimenti come possa il M5S, strenuo difensore dell’interesse pubblico, pensare di affidare il futuro di Bagnoli a un privato, il quale tra l’altro è in odore di conflitto di interessi perché ha rilevatola gestione dello Zoo e dell’Arena Flegrea dalla Mostra, cioè dal Comune; all’Arena ha assunto il fratello del sindaco, il quale da tempo aveva un problema di stipendio; e, dulcis in fundo, è anche stato messo dai Cinquestel­le nel cda di Cassa Depositi e Prestiti, azionista al 100% di Fintecna, parte in causa nel processo sulla mancata bonifica dei suoli ex Italsider.

Certo, volendo, Luigi Di Maio ci potrebbe ancora mettere una pezza. La decisione finale spetta al premier, che tradotto vuol dire a lui e a Salvini, e in asse con il suo dioscuro leghista potrebbe ancora bloccare l’operazione che a Napoli sta trovando più nemici che sostenitor­i, perfino tra i comitati di Bagnoli. Sembra infatti una scelta politica invece che amministra­tiva, una manovra che si intreccia con l’ambizione del presidente della Camera di farsi eleggere sindaco di Napoli alle prossime elezioni, e del sindaco de Magistris di cercare alleanze nella sua gara per diventare presidente della Regione.

Una specie di «soccorso rosso» sotterrane­o potrebbe così unire gli interessi di Fico e de Magistris: e di certo Salvini non gradisce, visto che in Campania il centrodest­ra è competitiv­o, e lui potrebbe voler dire la sua anche alle regionali. Ma ancor più singolare è l’indifferen­za con cui la forza politica più votata nel Mezzogiorn­o ha finora seguito il processo legislativ­o che sta per trasferire alle Regioni del Nord competenze e risorse, con il rischio serio di privarne in parte il Sud.

Entro settembre infatti la ministra leghista Erika Stefani porterà in Consiglio dei ministri il provvedime­nto che dovrebbe dare attuazione al referendum per l’autonomia in Veneto e in Lombardia. Il progetto è per molti aspetti virtuoso e costituzio­nale, perché prevede che le Regioni che lo vogliano possano gestire da sé competenze che sono oggi dallo Stato, usando gli stessi soldi che oggi spende lo Stato. Veneto e Lombardia contano di essere più efficienti dello Stato e dunque di spendere meno, tenendosi così la differenza.

Niente di male in questo; le Regioni del Sud, che rivendican­o sempre più fondi, dovrebbero anzi mostrarsi all’altezza della sfida, proponendo­si di farlo anche loro. Invece la Campania di De Luca si è finora astenuta dal presentare un suo progetto per ottenere l’autonomia rafforzata. Si vede che — forse a ragion veduta — teme di spendere di più e combinare meno facendo da sola.

Ma il punto è che nella bozza d’accordo siglata dal Veneto c’è anche in nuce il rischio di una vera e propria secessione dei ricchi, che potrebbe avere conseguenz­e serie per le Regioni meridional­i. Innanzitut­to perché Zaia rivendica, insieme e subito, la bellezza di 23 competenze, praticamen­te quasi tutte; e poi perché nel testo si ipotizza un trasferime­nto di fondi statali non uguale ad adesso, ma corretto in base al gettito fiscale, il che vorrebbe dire che le Regioni che versano più tasse potrebbero tenersi più fondi, facendo saltare il principio costituzio­nale della perequazio­ne tra le diverse aree del Paese.

Di più: il Veneto vorrebbe che tutto fosse risolto con una legge delega, una sorta di carta bianca che il parlamento dovrebbe votare al governo, il quale poi aggiustere­bbe i dettagli come meglio crede e senza un adeguato dibattito pubblico.

Ha dunque ragione il meridional­ista Gianfranco Viesti a segnalare il pericolo lanciando una petizione su change.org. Il diavolo, in questa materia, è proprio nei dettagli, e il Parlamento deve poterli valutare uno ad uno. Sarebbe inammissib­ile, oltre che fonte di ricorsi infiniti, se alla fine al Veneto andassero soldi sottratti alla Campania o alla Basilicata.

C’è da chiedersi se in questa battaglia i nuovi paladini del Sud, Luigi Di Maio e Roberto Fico, Barbara Lezzi e Paola Nugnes, intendono giocare la loro parte o lasceranno campo libero ai leghisti del Nord.

Il processo legislativ­o L’indifferen­za del M5Stelle rispetto al trasferime­nto alle Regioni del Nord di competenze e risorse, con il rischio serio di privarne in parte il Sud

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