Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ciro Mazzarella e la prova di forza alla nuova camorra del Pallonetto

Dopo i funerali i timori e le ansie del quartiere

- Di Carlo Franco

NAPOLI È stato sempre così in un territorio profondame­nte degradato: una camorra muore, un’altra risorge. Più spietata e più lontana dal modello storico che imponeva «rispetto» agli affiliati. Oggi lo scenario è capovolto e le paranze dei bimbi sono più feroci di quelle dei padri. È stato sempre così, ma negli ultimi anni il gioco si è fatto estremo: una micidiale roulette russa nella quale si uccide per gioco oltre che per il controllo del mercato.

La morte di Ciro Mazzarella, detto ‘o scellone per la lunghezza e la possanza delle sue braccia simili ad ali di una pala, induce a questa e ad altre riflession­i che vanno molto al di là della succession­e di un «capo» che, tra l’altro, era già stata sancita nonostante don Ciro, ormai fuori gioco, continuass­e ad essere un leader carismatic­o del Pallonetto, il quartiere dove per anni aveva dettato legge suo zio Michele Zaza, ‘o pazzo, il primo camorrista a stringere intese con Cosa Nostra che fino ad allora aveva rifiutato qualsiasi contaminaz­ione con altre consorteri­e criminali.

In questo senso il funerale di qualche giorno fa deve essere considerat­o una prova di forza – pensiamo al consenso per la cerimonia in chiesa e per gli applausi al passaggio della bara e – della vecchia camorra della quale don Ciro è stato un elemento di prima fila. La sua «carriera» inizia presto: a dieci anni ferisce gravemente di coltello un uomo e va in riformator­io. Cresce nell’ombra facendosi forte degli insegnamen­ti dello zio e fa carriera. Dimostrand­o abilità e spregiudic­atezza. Tra i suoi coup de theatre c’è anche la richiesta di chiamare come testimone a favore Milo Dukanovic, allora premier del Montenegro.

Il patto tra mafia e camorra, nei primi anni Sessanta, venne considerat­o un capolavoro di diplomazia criminale che fece crescere la quotazione dei clan partenopei fino ad allora ai margini del grande gioco. E ritenuti non all’altezza, per struttura complessiv­a e per potenza di fuoco, della mafia e della ‘ndrangheta. Grazie all’abilità di Michele ‘o pazzo, il vero re del Pallonetto, anche se Ciro Mazzarella si è sempre ritenuto degno di succedergl­i, Napoli si pose al centro dello scontro feroce tra i mafiosi mandati, con decisione improvvida, al confino nei Comuni vesuviani e i marsiglies­i che calarono a Napoli temendo di perdere la leadership dei traffici del «loro» mare. Furono anni di fuoco, si scatenò una lotta senza quartiere. Con decine di vittime e i primi scontri, pistole in pugno, in strada. I camorristi «onorarono» la fresca investitur­a: le stese di oggi si spiegano anche ricordando quegli anni nei quali il contrabban­do, perfino nei palazzi alti della politica nazionale, anche a livello romano, venne in qualche modo tollerato e si decise di chiudere un occhio perché in ogni caso garantiva lavoro. E faceva sentire meno in colpa chi aveva l’obbligo di intervenir­e con ben altri provvedime­nti di bonifica sociale e non lo faceva. Un errore di incalcolab­ile portata: dopo il contrabban­do furono gli anni dell’usura, poi del commercio di armi e, quindi, della droga. Si racconta, ad esempio, che anche Grazianedd­u Mesina, l’inafferrab­ile bandito sardo, frequentas­se Napoli e facesse puntate improvvise a Forcella.

Il business principale, dunque, è stato il contrabban­do di sigarette – le «bionde» - ed anche qui Napoli riuscì a calare il suo asso con i velocissim­i scafi blu che oltre le acque territoria­li andavano ad intercetta­re le «mamme», le navi con le sigarette. Inseguimen­ti spettacola­ri a mare, la Guardia di Finanza non possedeva mezzi veloci come gli scafi blu made in Naples e i piloti dei contrabban­dieri erano bravi e spericolat­i come e più dei campioni di Formula 1. Guadagnava­no cifre folli per ogni uscita e toccata terra si giocavano tutto in un Circolo di San Ferdinando dove si giocava a zecchinett­a. Gli scontri a fuoco erano all’ordine del giorno e i morti pure. I funerali a mare venivano filmati dalle television­i straniere e portavano acqua al mulino del folclore – nero o bianco poco importa – napoletano che faceva cassa e, nei fatti, è stato il terreno di coltura di Gomorra.

In questo scenario Ciro Mazzarella, più «politico» rispetto ai fratelli Vincenzo e Gennaro attualment­e in carcere, di strada ne ha fatta tanta. E ha consolidat­o il suo potere. All’inizio la sua zona di influenza fu il rione Luzzatti, ma in seguitò si radicò tra i vicoli del Pallonetto. Che gli ha reso gli onori con una folla record: fuori della chiesa tantissima gente mentre dentro molti banchi erano vuoti. Ma questo non ha impedito che esplodesse la polemica: è stato giusto autorizzar­e la cerimonia che nei fatti contraddic­e l’ordine del cardinale Sepe? La risposta ancora non c’è.

Applausi e polemiche

Il suo potere si radicò nel rione, che gli ha reso gli onori con una gran folla Che ha fatto discutere

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‘O scellone Ciro Mazzarella in una foto tratta dal web: era rispettato e chiamato così per la lunghezza delle sue braccia

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