Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Ciro Mazzarella e la prova di forza alla nuova camorra del Pallonetto
Dopo i funerali i timori e le ansie del quartiere
NAPOLI È stato sempre così in un territorio profondamente degradato: una camorra muore, un’altra risorge. Più spietata e più lontana dal modello storico che imponeva «rispetto» agli affiliati. Oggi lo scenario è capovolto e le paranze dei bimbi sono più feroci di quelle dei padri. È stato sempre così, ma negli ultimi anni il gioco si è fatto estremo: una micidiale roulette russa nella quale si uccide per gioco oltre che per il controllo del mercato.
La morte di Ciro Mazzarella, detto ‘o scellone per la lunghezza e la possanza delle sue braccia simili ad ali di una pala, induce a questa e ad altre riflessioni che vanno molto al di là della successione di un «capo» che, tra l’altro, era già stata sancita nonostante don Ciro, ormai fuori gioco, continuasse ad essere un leader carismatico del Pallonetto, il quartiere dove per anni aveva dettato legge suo zio Michele Zaza, ‘o pazzo, il primo camorrista a stringere intese con Cosa Nostra che fino ad allora aveva rifiutato qualsiasi contaminazione con altre consorterie criminali.
In questo senso il funerale di qualche giorno fa deve essere considerato una prova di forza – pensiamo al consenso per la cerimonia in chiesa e per gli applausi al passaggio della bara e – della vecchia camorra della quale don Ciro è stato un elemento di prima fila. La sua «carriera» inizia presto: a dieci anni ferisce gravemente di coltello un uomo e va in riformatorio. Cresce nell’ombra facendosi forte degli insegnamenti dello zio e fa carriera. Dimostrando abilità e spregiudicatezza. Tra i suoi coup de theatre c’è anche la richiesta di chiamare come testimone a favore Milo Dukanovic, allora premier del Montenegro.
Il patto tra mafia e camorra, nei primi anni Sessanta, venne considerato un capolavoro di diplomazia criminale che fece crescere la quotazione dei clan partenopei fino ad allora ai margini del grande gioco. E ritenuti non all’altezza, per struttura complessiva e per potenza di fuoco, della mafia e della ‘ndrangheta. Grazie all’abilità di Michele ‘o pazzo, il vero re del Pallonetto, anche se Ciro Mazzarella si è sempre ritenuto degno di succedergli, Napoli si pose al centro dello scontro feroce tra i mafiosi mandati, con decisione improvvida, al confino nei Comuni vesuviani e i marsigliesi che calarono a Napoli temendo di perdere la leadership dei traffici del «loro» mare. Furono anni di fuoco, si scatenò una lotta senza quartiere. Con decine di vittime e i primi scontri, pistole in pugno, in strada. I camorristi «onorarono» la fresca investitura: le stese di oggi si spiegano anche ricordando quegli anni nei quali il contrabbando, perfino nei palazzi alti della politica nazionale, anche a livello romano, venne in qualche modo tollerato e si decise di chiudere un occhio perché in ogni caso garantiva lavoro. E faceva sentire meno in colpa chi aveva l’obbligo di intervenire con ben altri provvedimenti di bonifica sociale e non lo faceva. Un errore di incalcolabile portata: dopo il contrabbando furono gli anni dell’usura, poi del commercio di armi e, quindi, della droga. Si racconta, ad esempio, che anche Grazianeddu Mesina, l’inafferrabile bandito sardo, frequentasse Napoli e facesse puntate improvvise a Forcella.
Il business principale, dunque, è stato il contrabbando di sigarette – le «bionde» - ed anche qui Napoli riuscì a calare il suo asso con i velocissimi scafi blu che oltre le acque territoriali andavano ad intercettare le «mamme», le navi con le sigarette. Inseguimenti spettacolari a mare, la Guardia di Finanza non possedeva mezzi veloci come gli scafi blu made in Naples e i piloti dei contrabbandieri erano bravi e spericolati come e più dei campioni di Formula 1. Guadagnavano cifre folli per ogni uscita e toccata terra si giocavano tutto in un Circolo di San Ferdinando dove si giocava a zecchinetta. Gli scontri a fuoco erano all’ordine del giorno e i morti pure. I funerali a mare venivano filmati dalle televisioni straniere e portavano acqua al mulino del folclore – nero o bianco poco importa – napoletano che faceva cassa e, nei fatti, è stato il terreno di coltura di Gomorra.
In questo scenario Ciro Mazzarella, più «politico» rispetto ai fratelli Vincenzo e Gennaro attualmente in carcere, di strada ne ha fatta tanta. E ha consolidato il suo potere. All’inizio la sua zona di influenza fu il rione Luzzatti, ma in seguitò si radicò tra i vicoli del Pallonetto. Che gli ha reso gli onori con una folla record: fuori della chiesa tantissima gente mentre dentro molti banchi erano vuoti. Ma questo non ha impedito che esplodesse la polemica: è stato giusto autorizzare la cerimonia che nei fatti contraddice l’ordine del cardinale Sepe? La risposta ancora non c’è.
Applausi e polemiche
Il suo potere si radicò nel rione, che gli ha reso gli onori con una gran folla Che ha fatto discutere