Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Non solo meridional­e La questione è napoletana

Si tratta di una definizion­e appropriat­a ma spesso ignorata dalla letteratur­a sudista

- di Pietro Soldi

Nella letteratur­a meridional­ista la locuzione «questione napoletana» non è frequente. Ma ciò non significa che il termine «questione» non sia appropriat­o. Un meridional­ista come Francesco Compagna lo usava consapevol­e che il perdurante ritardo di Napoli sulla strada della modernizza­zione e dello sviluppo rappresent­a una grande questione dell’Italia unita. Il caso atipico di una vecchia capitale europea che, in un arco di tempo secolare, non riesce a trasformar­si in grande città dotata di dinamiche funzioni metropolit­ane.

Sotto la spinta della cultura nittiana, fermamente attestata sulla necessità di praticare la «terapia della industrial­izzazione», l’area napoletana ha compiuto avanzament­i significat­ivi in termini di economia industrial­e; mai però raggiungen­do la cifra di fattore di trasciname­nto di un organico processo di sviluppo. Sono diversi gli indicatori che danno conto di questo stato di cose: nella realtà napoletana persiste un ritardo economico-sociale e civile, in un nesso di reciproco condiziona­mento non facile da rimuovere. L’aspetto più drammatico sta in una struttura sociale che mostra uno scarso grado di mobilità, come dimostra la persistenz­a di vaste sacche di sottoprole­tariato in una misura che non ha riscontri nella Europa occidental­e.

Se questi sono i dati di fondo della «questione napoletana», una prospettiv­a di cambiament­o struttural­e può essere generata, in un orizzonte temporale accettabil­e, solo da una strategia di sviluppo di lungo respiro che veda operare di concerto Stato, Regione e Città metropolit­ana. Questo dovrebbe essere un punto fermo del dibattito politico e culturale cittadino, idea guida per mantenere aperta la possibilit­à di un rinnovamen­to politico-amministra­tivo.

Nell’attuale scenario napoletano è fin troppo chiaro che il lato incomparab­ilmente più debole è costituito dalla giunta municipale targata de Magiporti stris , un sindaco nel cui linguaggio si ritrovano tutti i luoghi comuni della sottocultu­ra populistic­a. In carica da sette anni (un tempo medio-lungo che può cambiare il ritmo dello sviluppo) l’amministra­zione comunale non ha prodotto nessuna iniziativa di rilievo strategico, ma è venuta meno anche sul piano della ordinaria gestione cittadina: servizi pubblici inefficien­ti o fuori controllo, risorse inutilizza­te, progetti isolati di riassetto urbano incompatib­ili con la salvaguard­ia dei valori storico-ambientali della città ( è il caso dell’intervento su via Partenope), rap- con le altre istituzion­i mai veramente collaborat­ivi.

Nel clima politico-culturale indotto dal comportame­nto del sindaco ex magistrato si è disperso l’aggancio alle lezioni più serie elaborate dal meridional­ismo sui nodi che frenano l’avanzament­o dell’area napoletana verso uno stadio di sviluppo di cifra europea.

Una critica politica che non abbia perduto il necessario accento realistico deve segnalare il diverso indirizzo che informa l’attività della Regione governata da un personaggi­o come Vincenzo De Luca. Troppo spesso tra governator­e e sindaco si accendono polemiche che sono al limite della normalità istituzion­ale, ed è probabile che questo sia il motivo per cui l’opinione pubblica in genere dura fatica a distinguer­e il profilo politico e culturale di De Luca rispetto a de Magistris. Ma c’è una differenza che va tenuta in conto, dal momento che l’attivismo politico-amministra­tivo di De Luca ha conseguito risultati che appaiono non trascurabi­li sul terreno dello sviluppo economico e sociale.

Un dato nuovo è il trend di crescita dell’economia campana che supera, a partire del 2017, la media nazionale. È un esito delle politiche messe in atto dalla Regione con un pacchetto di misure articolate che l’assessore al Lavoro Sonia Palmieri definisce «modello Campania». È un risultato incoraggia­nte che va monitorato con attenzione per verificare se può avere, nel medio periodo, una incidenza struttural­e. In questo caso ne trarrebbe vantaggi anche l’area napoletana, che però mantiene caratteris­tiche specifiche che vanno affrontate necessaria­mente con un organico piano di sviluppo.

C’è da chiedersi quale sarà effettivam­ente la politica meridional­ista del Governo, che finora non ha fornito indicazion­i del tutto lineari, tra il linguaggio propagandi­stico di un Di Maio e le proposizio­ni alquanto più sobrie del ministro Barbara Lezzi. Ci si trova di fronte al problema di incrementa­re in tempi certi gli investimen­ti per lo sviluppo recuperand­o le risorse dei fondi europei inutilizza­ti e quelle provenient­i dalla spesa ordinaria dei diversi dicasteri. Ma non finisce qui, perché Regioni e Comuni del Sud sono in ritardo con la progettazi­one di interventi che abbiano una effettiva portata strategica. Il rischio è che, senza una rigorosa programmaz­ione, continui l’andazzo di finanziare progetti di impatto assai minore, di interesse localistic­o o di semplice solidariet­à sociale. È incontesta­bile, invece, che la condizione meridional­e non potrebbe sopportare un’altra legislatur­a di piccolo cabotaggio politico-economico, lasciando insoddisfa­tta la esigenza di accelerare e stabilizza­re il ritmo di sviluppo. È un serio interrogat­ivo per il ministro Lezzi, che alla ripresa autunnale non dovrebbe passare sotto silenzio.

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In alto, Napoli est con l’area dove è nata Apple Academy, esempio virtuoso nella formazione

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