Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Io, estimatore di Di Maio ma in giunta con De Luca»
L’assessore ex dg regionale: pensionato, ma non mi fermo mai
Li chiamano «assessori fantasma», ma non soltanto per la loro anima trasparente e, fino a prova contraria, senza peccato. Quanto per la presenza che lasciano intuire nel riverbero della loro liquida impalpabilità: fondamentale presupposto delle regole di ingaggio. È una sorta di sospiro di potere quasi impercettibile quello che si presume emettano alcuni collaboratori di giunta di Vincenzo De Luca: un sospiro che a volte si fa discrezione e in altre circostanze reticenza. Il dissenso? Nemmeno a parlarne. È condizione non contemplata dall’impetuoso sforzo di decluttering del governatore.
«Un giorno il presidente mi ha chiamato al telefono chiedendomi di assumere l’incarico di assessore, dopo la rinuncia di Gerardo Capozza, rimasto capo del Cerimoniale di Palazzo Chigi. “Te la senti?”, mi chiese. Ed io che non ho mai saputo dire di no ai presidenti di Regione con i quali ho lavorato, da De Feo a Fantini, da Clemente a Grasso, da Rastrelli a Losco, da Bassolino a Caldoro, non ho saputo dire di no a lui. Immagino che abbia apprezzato il mio lavoro di commissario all’Acamir, l’agenzia regionale per i trasporti. Penso che abbia ammirato il coraggio con il quale firmai l’acquisizione di 12 treni Jazz: una gara da 80 milioni. Roba da far tremare i polsi».
Antonio Marchiello, 67 anni, napoletano del Vomero, è considerato l’assessore in filigrana più prezioso dell’esecutivo De Luca. Laureato in giurisprudenza e medicina («Era il mio sogno da ragazzo, diventare medico. Ma per necessità intrapresi gli studi di legge che mi garantivano una opportunità occupazionale più rapida») ha trascorso circa quarant’anni a palazzo Santa Lucia. È stato direttore generale dei trasporti, capo del personale, commissario Asi, direttore amministrativo di Asl, presidente di commissioni di concorso, medico volontario. Ma soprattutto è andato in pensione portandosi dietro un bagaglio intonso di 221 giorni di ferie arretrate. «È stata una mia scelta. Sono nato per lavorare. E qui in Regione ho avuto un grande esempio, un vero stakanovista, con il quale più di una volta ho fatto l’alba tra carte e delibere: l’ex capo di gabinetto Peppino Catenacci. Un vero risolutore di problemi». È forse l’unico assessore a dare del tu a Luigi Di Maio, il vicepremier e leader 5 stelle contro il quale il governatore si scaglia a giorni alterni. Marchiello non ama raccontarlo. Ma si sa che quando assunse l’incarico, affidatogli da Caldoro, di risanare l’Asi di Napoli («Trovai 40 milioni di debiti dopo 40 anni di commissariamento») l’allora vice presidente della Camera si affacciò nel suo ufficio chiedendogli spiegazioni su alcune concessioni nell’area di Pomigliano. A distanza di una settimana, gli fece trovare il dossier completo. E Di Maio, si racconta, avrebbe riferito ad un ingegnere dell’Asi: “Se fossero tutti come lui i dirigenti pubblici, l’Italia non starebbe così inguaiata”. Da allora, si stimano e si sentono al telefono. E l’altra settimana si sono calorosamente salutati in consiglio regionale.
Marchiello, lei è assessore da tre mesi alle attività produttive e alla ricerca scientifica: un amico di Di Maio nella giunta De Luca?
«Ho avuto modo di conoscere Di Maio. E non lo sottovaluterei: è un ragazzo sveglio che forse ha soltanto bisogno, come tanti giovani, di fare esperienza per far valere appieno le proprie capacità».
Glielo ha detto a De Luca?
«Con lui parliamo delle cose da fare».
Chi è stato il migliore presidente di Regione, escluso ovviamente De Luca?
«Per l’impulso organizzativo è stato Bassolino: fu il primo a separare il potere politico dalla gestione. Per la spinta a realizzare traguardi, invece, devo dire De Luca, e non perché sono diventato suo assessore. Inoltre, non trascurerei il giudizio positivo su Losco, sebbene la sua esperienza durò soltanto pochi mesi».
De Luca è spesso accusato di volere applicare il modello municipalistico di Salerno alla macchina, ben più complessa, della Regione Campania. È questo il vero vulnus della sua
amministrazione?
«Vulnus? No. È la sua esperienza formativa e di amministratore pubblico. Non può diventare una colpa».
Ma un limite, sì.
«Io lo ritengo un punto di forza».
Anche quello che impedisce agli assessori di condividere da protagonisti e non da comprimari le scelte amministrative?
«De Luca è un decisionista. Si assume le sue responsabilità. Evita, quando è possibile, di doversi interfacciare con i vari livelli di rappresentanza. Io penso che frammentare il potere non serva a rendere più efficiente ed efficace la democrazia. Anzi, è giusto il contrario. Sarà che io sono stato abituato a fare il mio dovere di dirigente pubblico, ma non ho alcuna difficoltà ad eseguire le indicazioni— non gli ordini — del presidente. Del resto, la legge conferisce a lui la responsabilità dell’azione amministrativa».
Nega pure che De Luca abbia impresso una visione salernocentrica alla Regione?
«Io penso che lui abbia portato qui in Regione la sua esperienza di amministratore locale. Ma poi si sia allineato alle regole che sovrintendono all’amministrazione regionale. Del resto, non potrebbe essere altrimenti. Il salernocentrisimo è un luogo comune. Da vomerese doc posso confermare che non trascura nessun territorio».
Lei è stato a lungo un alto dirigente della Regione e per sei anni capo del personale. De Luca talvolta si lamenta dei dipendenti che non lo seguono e quest’ultimi del suo carattere. Chi ha ragione?
«Buona parte dei vecchi dirigenti è in pensione. Sono 180 i dirigenti giovani, per lo più assunti da me quando ero capo del personale. Certo, a volte c’è stata una reazione di disappunto da parte dei dipendenti: qualche no di troppo al presidente della giunta. Ma occorre capire anche i dirigenti e i funzionari: la spada di Damocle della Corte dei conti e le denunce anonime, che negli ambienti della Pubblica amministrazione non mancano mai, incutono parecchio timore».
Lei di cosa si sta occupando e soprattutto ha capito perché il suo predecessore, Amedeo Lepore, è stato dimissionato?
«Il presidente, quando mi chiamò, mi chiese di fare meno programmazione e più risultati. Probabilmente è sulla tempistica che l’assessore Lepore non si è trovato in sintonia con lui. Ora sono impegnato su alcuni dossier: da quello sui finanziamenti per 80 milioni alle Pmi al bando per gli artigiani. Ma anche le Zes, per le quali spero quanto prima arrivi il decreto sulla cabina di regia».
Quando andrà davvero in pensione?
«Ci sono già, dal 1 settembre 2016. Tuttavia, il lavoro mi rilassa. Ho tanti amici qui in Regione e ovunque abbia lavorato. Posso ancora girare in scooter, mia vecchia passione di libertà, e andare a teatro, anche se meno frequentemente rispetto a quando seguivo Eduardo ovunque rappresentasse una sua commedia. Fin quando potrò godermelo il lavoro, sarò al mio posto».
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La pagella Bassolino è stato il primo a separare il potere politico dalla gestione. Bene anche Losco. Ma il mio esempio di riferimento sul lavoro è stato Catenacci