Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL SUD FUORI DALLA «VIA DELLA SETA»

- Di Francesco Marone

Nella primavera del 2017 i capi di governo italiano e cinese annunciaro­no, dopo un incontro a Pechino, che il sistema portuale italiano avrebbe fatto parte degli investimen­ti della Cina sulla nuova via della seta: miliardi di euro spesi in ammodernam­ento di infrastrut­ture di altri Paesi, utili alla diffusione delle merci cinesi nel mondo. I porti italiani coinvolti avrebbero dovuto essere quelli di Genova e Trieste, tagliando fuori Napoli e il Mezzogiorn­o dal progetto. Questo giornale avviò una campagna contro quella decisione, ritenendo che fosse un grave errore strategico non puntare sul Sud Italia come hub delle merci cinesi. Molto sinteticam­ente, gli argomenti erano questi. Le economie delle città crescono intorno alla concentraz­ione di imprese innovative (cluster) in uno stesso luogo; è la ragione per la quale la distanza tra le città americane più ricche e quelle più povere tende ad aumentare. La valley di San Francisco è sempre più ricca, perché tutte le industrie tecnologic­he vanno a insediarsi lì, mentre le vecchie città industrial­i arrancano sempre di più. In Italia, una cosa simile avviene nel confronto tra Milano e il resto del Paese. A Napoli la principale risorsa industrial­e è senz’altro il porto e, proprio in quei giorni, in luoghi e circostanz­e diverse, Romano Prodi e Carlo Messina andavano dicendo che lo sviluppo naturale dell’Italia meridional­e dovesse essere quello di divenire una piattaform­a logistica al servizio dell’Europa.

Dunque, la principale, se non l’unica, possibilit­à di creare un cluster di imprese che inneschi a Napoli un circolo virtuoso di sviluppo era, ed è, quella di puntare sulla logistica e, quindi, sul porto.

Dopo alcuni articoli che insistevan­o sulla questione, il Governo fece in qualche modo marcia indietro. Alla presentazi­one del volume che raccogliev­a gli interventi di Giuseppe Galasso proprio sul Corriere del Mezzogiorn­o, Adriano Giannola ricordò all’allora ministro Claudio De Vincenti il dibattito in corso sul porto di Napoli, chiedendog­li di spiegare la decisione del Governo. Il ministro chiarì che le dichiarazi­oni del Presidente del Consiglio erano state mal interpreta­te: i porti meridional­i

avrebbero fatto parte del progetto di sviluppo delle nuove rotte commercial­i cinesi, che passano dal canale di Suez per arrivare, attraverso gli scali del Mediterran­eo, in tutta Europa.

Le cose, però, sembrano essere andate diversamen­te.

Nell’articolo di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera di ieri, come già nell’intervista al ministro dell’economia di qualche giorno fa, è riportata la sintesi di un accordo Italia-Cina nel quale i porti coinvolti nel progetto sarebbero quelli di Trieste e Vado ligure. A questo punto, dando per assunto che le cose stiano così, delle due l’una: o il Governo precedente non ha mantenuto la parola o il Governo attuale ha fatto marcia indietro, penalizzan­do quel Mezzogiorn­o che lo ha premiato con oltre il 50% dei voti lo scorso 4 marzo. In entrambi i casi c’è poco da stare allegri.

Ci piacerebbe avere una risposta e, soprattutt­o, ci piacerebbe che le istituzion­i locali, che allora tacquero, si facessero sentire con un’unica voce, ferma e determinat­a, per salvaguard­are Napoli e il Mezzogiorn­o in uno snodo storico decisivo per il destino economico dei prossimi anni.

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