Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL SUD FUORI DALLA «VIA DELLA SETA»
Nella primavera del 2017 i capi di governo italiano e cinese annunciarono, dopo un incontro a Pechino, che il sistema portuale italiano avrebbe fatto parte degli investimenti della Cina sulla nuova via della seta: miliardi di euro spesi in ammodernamento di infrastrutture di altri Paesi, utili alla diffusione delle merci cinesi nel mondo. I porti italiani coinvolti avrebbero dovuto essere quelli di Genova e Trieste, tagliando fuori Napoli e il Mezzogiorno dal progetto. Questo giornale avviò una campagna contro quella decisione, ritenendo che fosse un grave errore strategico non puntare sul Sud Italia come hub delle merci cinesi. Molto sinteticamente, gli argomenti erano questi. Le economie delle città crescono intorno alla concentrazione di imprese innovative (cluster) in uno stesso luogo; è la ragione per la quale la distanza tra le città americane più ricche e quelle più povere tende ad aumentare. La valley di San Francisco è sempre più ricca, perché tutte le industrie tecnologiche vanno a insediarsi lì, mentre le vecchie città industriali arrancano sempre di più. In Italia, una cosa simile avviene nel confronto tra Milano e il resto del Paese. A Napoli la principale risorsa industriale è senz’altro il porto e, proprio in quei giorni, in luoghi e circostanze diverse, Romano Prodi e Carlo Messina andavano dicendo che lo sviluppo naturale dell’Italia meridionale dovesse essere quello di divenire una piattaforma logistica al servizio dell’Europa.
Dunque, la principale, se non l’unica, possibilità di creare un cluster di imprese che inneschi a Napoli un circolo virtuoso di sviluppo era, ed è, quella di puntare sulla logistica e, quindi, sul porto.
Dopo alcuni articoli che insistevano sulla questione, il Governo fece in qualche modo marcia indietro. Alla presentazione del volume che raccoglieva gli interventi di Giuseppe Galasso proprio sul Corriere del Mezzogiorno, Adriano Giannola ricordò all’allora ministro Claudio De Vincenti il dibattito in corso sul porto di Napoli, chiedendogli di spiegare la decisione del Governo. Il ministro chiarì che le dichiarazioni del Presidente del Consiglio erano state mal interpretate: i porti meridionali
avrebbero fatto parte del progetto di sviluppo delle nuove rotte commerciali cinesi, che passano dal canale di Suez per arrivare, attraverso gli scali del Mediterraneo, in tutta Europa.
Le cose, però, sembrano essere andate diversamente.
Nell’articolo di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera di ieri, come già nell’intervista al ministro dell’economia di qualche giorno fa, è riportata la sintesi di un accordo Italia-Cina nel quale i porti coinvolti nel progetto sarebbero quelli di Trieste e Vado ligure. A questo punto, dando per assunto che le cose stiano così, delle due l’una: o il Governo precedente non ha mantenuto la parola o il Governo attuale ha fatto marcia indietro, penalizzando quel Mezzogiorno che lo ha premiato con oltre il 50% dei voti lo scorso 4 marzo. In entrambi i casi c’è poco da stare allegri.
Ci piacerebbe avere una risposta e, soprattutto, ci piacerebbe che le istituzioni locali, che allora tacquero, si facessero sentire con un’unica voce, ferma e determinata, per salvaguardare Napoli e il Mezzogiorno in uno snodo storico decisivo per il destino economico dei prossimi anni.