Corriere del Mezzogiorno (Campania)
UN «MURO» CONTRO LA CAMORRA
ANapoli la camorra è una «vexata quaestio», mai uguale a se stessa. In passato, la città ha conosciuto fatti di sangue gravissimi. Oggi, però, la diminuzione degli omicidi non rassicura affatto. La legge del più forte continua a spadroneggiare. La «stesa» è un messaggio inequivocabile: la violenza deve manifestarsi alla luce del sole, in un luogo pubblico, frequentato da persone comuni, dedite ad attività ordinarie, terrorizzate da colpi di pistola. Su tutto deve dominare la paura. È accaduto ciò che si temeva: la pervasività di un cancro che in varie zone della città e della provincia partenopea detta legge su come relazionarsi l’un con l’altro. È inevitabile la constatazione che si è perso tempo prezioso. Di sicuro, la lotta è stata impari perché portata avanti con determinazione e coraggio solo da una minoranza. Si respira ancora troppa complicità e indifferenza. Tutt’oggi, dunque, ci troviamo a convivere con la violenza. A volte si attribuisce la responsabilità di questo clima ai migranti e profughi. Falso: è un modo – l’ennesimo – per non guardare la realtà per quella che è. La verità è che il virus è nelle strade e nei palazzi della nostra città. Un virus che contagia tanti. Cominciando dai più piccoli: sotto i nostri occhi sta crescendo una generazione di bambini e adolescenti che utilizzano in modo disinvolto, naturale, le armi, convinti che in questo modo si è rispettati e si ha un ruolo nella società.
Una generazione che diserta massicciamente la scuola, allontanandosi dalla sede privilegiata in cui è possibile educare se stessi a modelli pacifici. È senz’altro opportuno che la riunione tenuta a Napoli dal Consiglio superiore della magistratura ha concentrato la sua attenzione sulla responsabilità genitoriale. Ma tutto ciò rivela un vuoto educativo di cui la collettività deve farsene carico.
Riproporre il tema della violenza nella sua crudezza significa rompere con la cappa di rassegnazione in cui siamo immersi.
Mancano analisi aggiornate, luoghi di confronto serrato su quanto accade. Quando se ne parla, si adoperano termini vecchi in merito a un fenomeno delinquenziale che muta continuamente. Per esempio, credo non si sia riflettuto abbastanza su come oggi la camorra sembra fare a meno di appoggi politici.
Manca poi in città un posto in cui fare memoria comune delle tante vittime della camorra.
Promuovere dibattiti, manifestazioni significa ragionare insieme sulla capacità del «mostro» di sapersi continuamente autorigenerare. Il più grande nemico della camorra è che si parli continuamente di essa. Discutere poi è un modo per rendere partecipe e costringere la società civile a fare delle scelte.
Bisogna andare al di là del significato che può avere la singola iniziativa. Del successo o meno del singolo evento. Andare al di là dell’appartenenza politica. Fare della lotta alla camorra una grande battaglia comune.
E su questo i politici di diverso colore politico che hanno importanti responsabilità istituzionali — Comune, Regione, Governo — devono mettere finalmente da parte interessi di parte che peraltro rendono inefficace il mandato per cui hanno ottenuto la fiducia dei cittadini, quello cioè di essere dediti al bene comune e alla salvaguardia della sicurezza e dell’incolumità fisica. Ma tutto ciò è insufficiente se non sostenuto da una rete di persone che coltivano ogni giorno il sogno di una comunità coesa e rappacificata.
Per fare ciò occorre tanta passione e impegno personale. E anche tanta cultura. Ma soprattutto bisogna ribellarsi interiormente al volar basso che sembra tutt’uno con l’essere cittadini a Napoli. Servono alleanze fra persone che magari non hanno lo medesima opinione su tanti aspetti, ma che hanno a cuore questa città.
Napoli ha bisogno di essere amata, non può essere lasciata nelle mani di chi, educando alla violenza bambini e adolescenti, pone le condizioni perché altre generazioni si perdano. Bisogna darsi subito da fare, ognuno per quello che può, prima che sia troppo tardi.