Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I tanti, troppi limiti dell’affido condiviso secondo Pillon

- di Gabriella Ferrari Bravo

Volano le adesioni alla petizione lanciata da D.I.

Re, Donne in rete contro la

violenza, per il ritiro del Ddl «Norme in materia di affido condiviso, mantenimen­to diretto e garanzia di bigenitori­alità», attualment­e in discussion­e.

Inoltre, l’Udi Napoli, l’Associazio­ne Salute donna, l’Arcidonna e la Consiglier­a della Città Metropolit­ana Elena Coccia protestano per il patrocinio del Comune al convegno, il 22 settembre, su «La sfida della genitorial­ità condivisa per l’uguaglianz­a tra genitori», organizzat­o dal gruppo MdM, Associazio­ne Padri separati, che sostiene il mantenimen­to diretto dei figli nelle separazion­i (previsto nel Ddl).

È una buona l’occasione per iniziare ad analizzarn­e il testo. Da psicologa, con anni di lavoro in servizi per famiglie, penso che il difetto peggiore della proposta sia l’astrattezz­a, inconcilia­bile con le situazioni reali. E questo perché a mio avviso il Ddl parte da due equivoci.

Il primo, su cosa s’intende per «famiglia». Le idee del primo firmatario, il senatore leghista Pillon, sono note: ideatore del Family day, presidio contro i cambiament­i legislativ­i che hanno dato uguale dignità ai diversi modi di fare famiglia, ha preso posizione di recente contro il diritto all’autodeterm­inazione delle donne, perfino auspicando che sia vietata l’Ivg alle «separande».

Non credo si tratti solo di parole, ingiustifi­cabili anche nel fuoco della polemica sul Ddl (le leggi non sono mai politicame­nte neutre), ma dell’espression­e coerente di un pensiero integralis­ta, da trasferire pari pari nella legislazio­ne. Una battaglia persa: né il mondo né le donne torneranno indietro su diritti ormai sanciti. Le leggi sono oggetti delicati, quando si occupano di famiglie, ma andrebbero evitate le risse politiche, particolar­mente su questi temi. Il secondo equivoco è considerar­e di per sé patologica la famiglia separata, un’idea inespressa che però trapela nel testo del Ddl. Ad esempio, nel prescriver­e ai genitori la mediazione obbligator­ia, mentre è noto che la mediazione o è volontaria o non è.

D’altra parte, si spiega solo con il sotto-pensiero di una genitorial­ità affievolit­a l’idea di regolare in modo algebrico tempi e frequenza nella relazione genitori figli, con i più e i meno in simmetria. Per conciliare le divergenze è previsto l’aiuto di coordinato­ri, d’imprecisat­a profession­e, per stilare piani familiari. Piani che possono prevedere anche trasferime­nti continui dei bambini tra le case di mamma e papà, in nome di un’idea, impraticab­ile esclusi rari casi, di tempi paritari a tutti i costi, fino a suggerire il numero di giorni da passare con i figli. Come se un legame trovasse significat­o nella mera dimensione quantitati­va. Il Ddl rinforza così la delega agli esperti e al sistema giudiziari­o, sostenendo di volerla evitare, attraverso schematism­i dove non c’è spazio per la peculiarit­à del legame affettivo: il desiderio-incognita imprevedib­ile ma presente in tutte le equazioni familiari.

Ciò che più preoccupa, in questo senso, è l’introduzio­ne, come «tutela dei diritti relazional­i dei figli», della sindrome da alienazion­e genitorial­e, costrutto rifiutato dalla comunità scientific­a ma spesso usato per delegittim­are le donne che denunciano violenze familiari. I danni ai bambini saranno certi, se si potrà allontanar­e un genitore o un minore, quando manifesti «rifiuto, alienazion­e o estraniazi­one verso uno di essi», «pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori»: inaudita locuzione che dà campo a fantasiose interpreta­zioni.

Infine, l’insistenza sulla mancata realizzazi­one della parità nell’affido condiviso, che ignora dati assodati (nel 2005 i minori affidati solo alla madre erano più dell’80%, nel 2015 la percentual­e è scesa all’8,9%) per avallare l’idea che le mamme ne siano sempre favorite, tralascia ciò che l’Istat ha chiarito da tempo: sono le mamme, non i padri, i soggetti impoveriti dalla separazion­e, soprattutt­o quando padri inadempien­ti non corrispond­ono alcun contributo per i figli. In proposito, il punto dolente è nell’ovvia inapplicab­ilità del pagamento delle spese per i figli «a piè di lista» in luogo dell’assegno mensile, visti i tassi di disoccupaz­ione femminile.

L’effetto del Ddl, se passerà, sarà l’aumento del rancore tra genitori, con una pesante ipoteca proprio sul sacrosanto diritto - dei bambini - alla bigenitori­alità.

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