Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Crollo in Galleria, l’amico di Salvatore: «È stato un eroe, mi ha salvato la vita»
Testimonianza in aula di Pasquale Trinchillo, scampò alla tragedia del 2014 «Io mi sento in colpa». A giudizio 7 imputati con l’accusa di omicidio colposo
NAPOLI «Salvatore è stato un eroe: quando si è accorto che stavano cadendo i calcinacci, mi ha allontanato perché non mi colpissero. Mi ha salvato la vita. E io, adesso, mi sento in colpa, perché sono vivo, mentre lui è morto». È stata una testimonianza commossa e toccante quella resa ieri in aula da Pasquale Trinchillo, che il pomeriggio del 5 luglio 2014 scampò all’incidente in Galleria Umberto nel quale morì l’amico che era con lui, Salvatore Giordano. Trinchillo, oggi diciottenne, all’epoca dei fatti aveva 14 anni; al dibattimento, che è in corso davanti al giudice monocratico Barbara Mendia, è parte civile, assistito dall’avvocato Sergio Pisani.
Gli imputati, accusati di omicidio e crollo colposi, sono Giovanni Spagnuolo, dirigente del Servizio sicurezza abitativa del Comune; Giuseppe Africano e Franco Annunziata, dipendenti dello stesso ufficio; Mariano Bruno e Marco Fresa, che si sono succeduti nella carica di amministratore del condominio di piazzetta Matilde Serao 7; Elio Notarbartolo, direttore dei lavori incaricato dall’assemblea del condominio; Salvatore Capuozzo, dirigente del Servizio di difesa idrogeologica del Comune. Nei loro confronti, secondo l’accusa, le indagini hanno confermato, come era apparso chiaro fin dall’inizio, che la manutenzione dell’edificio da cui si staccarono i calcinacci e più in generale della Galleria Umberto era stata trascurata nonostante i numerosi crolli, che avrebbero richiesto, viceversa, interventi urgenti e radicali.
Più in particolare, dopo i crolli dei mesi precedenti, Spagnuolo, Africano e Annunziata hanno sollecitato a proprietari e strutture pubbliche preposte interventi solo su alcuni edifici e non sull’intera Galleria, nonostante la situazione di pericolo fosse, ictu oculi, generalizzata. A Bruno e Notarbartolo è contestato di avere escluso dal programmato intervento di manutenzione e di restauro parti della facciata e del frontone tra cui quella da cui si staccarono i calcinacci che uccisero Salvatore: li ritenevano, «ingiustificatamente», di proprietà comunale. Capuozzo è accusato di non aver verificato che i lavori fatti dal condominio avessero riguardato tutte le parti interessate dai dissesti. Fresa, infine, avrebbe omesso di manutenere una parte dell’edificio che invece è ritenuta di competenza condominiale.