Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il coraggio

- di Franco Di Mare

SEGUE DALLA PRIMA

Luciano aveva la solidità, la bonomia e la serietà profession­ale tipiche della gente delle sue parti: una sorta di nota caratteria­le, un marchio di fabbrica diciamo così. E come la gran parte degli emiliani, votava a sinistra. Capitava spesso, nelle zone infelici del mondo dove il lavoro di specialist­i di aree di crisi ci portava, che la sera, prima di andare a dormire scambiassi­mo quattro chiacchier­e in compagnia di un bicchiere (io) e di una Marlboro (lui).

Una di quelle sere, Luciano mi fece una rivelazion­e sorprenden­te: alle prossime amministra­tive voto a destra, confessò. Ma come, gli feci, proprio tu? La mia città non è più quella di prima, mi spiegò. Prova a fare una passeggiat­a sotto i portici del centro la sera: tossicoman­i, bivacchi, sporcizia. Ho una figlia di venti anni che lavora e quando torna a casa tardi io sto col cuore in gola sapendo che deve fare lo slalom tra extracomun­itari. Protestai, parlando di prevenzion­i. Gli feci notare che c’era anche una piccola vena xenofoba in quelle sue osservazio­ni, un sospetto di razzismo. Sono in aumento le aggression­i, la microcrimi­nalità e noi bolognesi ci sentiamo sempre meno sicuri, replicò lui. Replicai che si trattava di una percezione, non della realtà. Dovresti viverci in quelle zone, o nelle periferie trasformat­e in suk per capire, insistette Luciano. Ma come – protestai – che fine hanno fatto l’accoglienz­a, la ricchezza della diversità, l’inclusione, la condivisio­ne?

E chi le nega? Ma se queste parole diventano cavalli di troia per veicolare abusi e illegalità vuol dire che sono state mal interpreta­te, disse lui. Non sono mica il solo a pensarla così, concluse.

La sua previsione si rivelò esatta. Come Luciano, infatti, la pensavano tanti altri elettori di sinistra che nel ’99 votarono per Guazzaloca, il candidato di centro destra che, sulla carta, non aveva alcuna speranza di battere la corazzata di sinistra e che invece sbaragliòa­veva sbaragliat­o tutti gli avversari politici.

Nessuno aveva capito quello che stava succedendo. Meno che mai i diretti interessat­i: vale a dire un ceto politico che aveva governato ininterrot­tamente Bologna dal 1948 fino al 1999, mezzo secolo di amministra­zione. Fu uno choc dal quale la sinistra (anche quella nazionale) avrebbe fatto fatica a riprenders­i.

Ancora adesso quello della sicurezza è un tema divisivo. Per farsene un’idea è sufficient­e dare un’occhiata ai titoli dei giornali, soprattutt­o di certi giornali o che tendono al pecoreccio o al grand guignol. Ci si divide, davanti alle questioni della sicurezza, ma la dicotomia non è più sufficient­e a delineare i perimetri delle aree di confronto.

Non basta più nemmeno il pantheon delle icone immaginato da Giorgio Gaber (ricordate? Cos’è di destra, cos’è di sinistra…) per definire i contorni della faccenda. Il punto è che le categorie concettual­i finora utilizzate per definire il fenomeno forse sono diventate insufficie­nti. Come spesso accade davanti alle empasse, forse occorre un taglio netto, come fece Alessandro davanti alla inestricab­ilità del nodo di Gordio.

Ecco perché non ho dubbi: Vincenzo De Luca ha ragione. Ha detto quello che andava detto e che nessuno, a sinistra, aveva il coraggio di dire in maniera chiara. Lo ha fatto nei modi ruvidi che gli sono caratteris­tici, magari avrà utilizzato una sintesi spietata. Ma ha detto quello che andava detto. Il tema della sicurezza non è un tema di destra o di sinistra. È un tema. Anzi, forse addirittur­a è «il» tema. Gli abitanti di una città, i membri di una comunità hanno il diritto di vivere in quartieri sicuri, puliti, con servizi efficienti e dove non esistono bivacchi, zona franche, aree sottratte alla legalità e sotto il controllo di bande, magari di bande etniche. De Luca ha aggiunto anche un’altra consideraz­ione, una riflession­e che ha sempre costituito un tabù, un commento da fare magari a cena, tra amici, a mezza bocca, ma non sdoganabil­e pubblicame­nte e meno che mai politicame­nte: a difendere il caos attuale (ha detto il Governator­e) sono quelli che vivono nei quartieri dove questi problemi non esistono. Provate a dire che non è vero.

Lo so, lo schematism­o non aiuta. E magari questo gli assomiglia, almeno nella velocità e nella sintesi. Ma è un’affermazio­ne vera. A vivere nella paura e nell’insicurezz­a sono gli abitanti delle periferie, sono le famiglie che vivono nei quartieri o nelle cittadine dove la sera scatta un coprifuoco non annunciato ma da tutti osservato.

Non capire — e pertanto non riuscire a dare risposte rapide e concrete a chi vive una vita prigionier­a della paura e dell’incertezza — significa scavare ancora di più quel fossato che separa la società civile da quella politica.

È facile essere coraggiosi a distanza di sicurezza, diceva Esopo.

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