Corriere del Mezzogiorno (Campania)
ALLARME, STANNO SVENDENDO LA NAPOLETANITÀ
«Ma cos’è questa napoletanità? A occhio e croce: ammazzare, intimidire, ricattare, rigare le Seat Marbella, rubare l’euro dei carrelli al supermercato, il pizzo, la pizza al taglio, la cocaina tagliata male, Scampia, i cocktail di scampi con le diossine, la Vucciria, Secondigliano, il cavallo di ritorno, una testa di cavallo tagliata, Roberto Cavalli contraffatti, babà, pastiere, clisteri di cemento e poi ammazzare, ammazzare ancora, ammazzare come se non ci fosse domani». La questione viene posta nelle prime pagine di Vendi Napoli e poi muori (Magmata edizioni), densa prova narrativa del giovane sociologo Gennaro Ascione, editorialista di questo giornale. Ed è una questione che resta aperta e sottesa a tutta la vertiginosa trama del romanzo distopico, ambientato in un prossimo futuro in cui esiste il reato di «lesa napoletanità» (già adombrato ai nostri giorni, per la verità). Il mondo che Ascione racconta è post-contemporaneo, popolato da fashion blogger, hipster partenopei (hanno le barbe alla moda, ma ascoltano musica neomelodica), giovani antropologi e vecchi eruditi. È un mondo in cui la città appare arricchita e ben pasciuta ma al tempo stesso insidiosa, ambigua, a tratti rivolta verso il più oscuro passato. In questo quadro si collocano una serie di efferati delitti, in un crescendo che conduce verso il sorprendente finale. La prima a morire è proprio una blogger di successo, Claude Cannavale, a Napoli per un’inchiesta di costume sponsorizzata da un influente magazine americano. Da Orwell a Ballard, passando per un certo tipo di fumetto americano anni Sessanta, i riferimenti letterari di Ascione sono numerosi e complessi e la narrazione è talmente ricca di intrecci, colpi di scena e personaggi da risultare macchinosa in qualche passaggio. Ma resta senz’altro valida la riflessione che è alla base di tutta l’impalcatura narrativa e che parte da una considerazione «sociologica»: troppo spesso Napoli è vittima degli stereotipi della «napoletanità». E di luoghi comuni si può anche morire.