Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Confermati sedici anni per De Santis

I legali del ragazzo ucciso: fu un crimine ingiustifi­cabile

- Di Titti Beneduce

NAPOLI Daniele De Santis, l’ultrà della Roma che nel 2014 uccise Ciro Esposito, deve scontare 16 anni di carcere: lo ha stabilito la Corte di Cassazione, che ieri ha confermato la sentenza di appello; sentenza che dunque diventa definitiva. In mattinata il procurator­e generale aveva chiesto il rigetto del ricorso presentato dalla difesa di Gastone (così è soprannomi­nato il condannato negli ambienti della tifoseria) per i punti relativi alla configurab­ilità della legittima difesa e dunque la conferma della sentenza di secondo grado. Arriva dunque alla conclusion­e una vicenda dolorosa e controvers­a, che in questi anni ha suscitato polemiche a non finire. L’aggression­e a Ciro avvenne nel maggio del 2014, prima della finale di Coppa Italia con la Fiorentina: il tifoso del Napoli fu raggiunto da un colpo di pistola al polmone e morì dopo settimane di agonia. A placare gli animi dei compagni, più tardi, fu, con gesti plateali, Gennaro De Tommaso, noto come «Genny ‘a carogna».

Nel giugno dello scorso anno la Corte d’Assise di appello di Roma aveva ridotto da 26 a 16 anni la pena nei confronti di Daniele De Santis, il tifoso gialloross­o che aveva colpito a morte Ciro. Le motivazion­i della sentenza erano state come uno schiaffo in pieno viso per gli amici e i familiari di Ciro: i giudici (presidente Andrea Calabria, a latere Giancarlo De Cataldo, l’autore del best seller Romanzo criminale, che è anche estensore delle motivazion­i), parlarono più volte di «bravata»: «De Santis attua una bravata lanciando oggetti contro un pullman di tifosi napoletani. Quando Genny e i suoi transitano per Tor di Quinto, De Santis non si è ancora reso responsabi­le della bravata. È solo quando si sparge la voce della predetta bravata che matura la decisione di inseguire De Santis e dargli una lezione». Insomma Ciro Esposito, che sarebbe poi morto dopo lunghi giorni di sofferenza, se la andò a cercare. De Santis non fece da esca: «La predisposi­zione di un agguato impone la certezza o quantomeno l’elevata probabilit­à che l’esca possa attirare le vittime nel luogo prestabili­to. Ma se i tifosi napoletani si posero all’inseguimen­to di Daniele De Santis ciò accadde per la decisione repentina di Ciro Esposito e di chi si trovava con lui: decisione, come riferito da Alfonso Esposito (cugino di Ciro, che a sua volta faceva parte della comitiva napoletana, ndr), di regolare i conti». Per i giudici di secondo grado De Santis non meritava neppure l’aggravante dei futili motivi: «Se futili furono sicurament­e i motivi che indussero De Santis ad attuare la provocazio­ne contro i tifosi napoletani, non altrettant­o può dirsi quanto alla condotta omicida, dal momento che essa conseguì al precipitar­e degli eventi e non all’astratta volontà di riaffermar­e il proprio odio nei confronti dell’avversa tifoseria».

La sentenza è stata commentata in modo positivo dagli avvocati Angelo e Sergio Pisani, che assistono i familiari di Ciro: «Finalmente la parola fine rispetto ad un crimine ingiustifi­cabile che ha colpito la famiglia Esposito, la città di Napoli e lo sport. Nessun altro sconto e conferma della sentenza di appello a 16 anni di reclusione per De Santis. Non si può parlare di soddisfazi­one ma è comunque un esempio affinché non si sporchi più lo sport con il sangue».

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