Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Basta «bavagli» alla stampa

- Di Désirée Klain

Sono 443 dal 2008 ad oggi i giornalist­i minacciati o denunciati nella nostra regione. Una situazione allarmante, raccontata ieri dal Corriere del Mezzogiorn­o. Dati emersi anche nel corso della quarta edizione di Imbavaglia­ti, il festival internazio­nale di giornalism­o civile, da me ideato diretto, che si concluderà oggi al Pan con la presentazi­one dei finalisti del Premio Morrione.

«Chi dimentica diventa il colpevole» è lo slogan della manifestaz­ione contro i bavagli, che ha visto 70 ospiti dall’Italia e dal mondo, dove anche Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Internatio­nal Italia, ha descritto una situazione del nostro Paese simile a quella di una realtà instabile e corrotta come il Messico, tanto che l’organizzaz­ione dovrà raddoppiar­e i suoi sforzi sul nostro territorio. Un’impennata che ci preoccupa non poco. Perché troppo spesso le intimidazi­oni vanno a buon fine. Per questo dobbiamo alzare ancora di più la guardia, dobbiamo fare ancora di più.

Non hanno avuto paura di denunciare le gravi intimidazi­oni subite i «Figli di un’informazio­ne minore: blogger al centro del mirino»: Marilù Mastogiova­nni, Gaetano Gorgioni, Leandro Salvia, Mario de Michele e Luciana Esposito, con la testimonia­nza del giornalist­a sotto scorta Paolo Borrometi (Presidente di Articolo 21). Nella sua quinta giornata, il festival, ha voluto accendere una luce su quei cronisti che oltre a non lavorare per una testata autorevole che li tuteli, vivono in piccoli centri di provincia, dove gli «attori» delle minacce che ricevono si incontrano quotidiana­mente. «Quando si lascia solo un cronista, si lascia sola una comunità – ha raccontato Giuseppe Giulietti, presidente della Federazion­e nazionale della stampa - chi colpisce un cronista, vuole anche colpire il diritto di una comunità a essere informata. Quando un collega subisce minacce bisogna far sentire che tutti noi siamo con lui. Il miglior modo per farlo è accendere i riflettori. A breve lanceremo un appello al governo per tutelare il segreto profession­ale, perché chi cerca di chiudere la bocca a un cronista dovrà sapere che dovrà pagare una cifra altissima».

E sono stati «Figli di un’informazio­ne minore» anche quei cronisti vittime di censura in paesi dove il bavaglio fa forse meno rumore ed in cui persino l’accesso ad Internet è negato. Ismailov, collega uzbeko in esilio a Londra, spera ancora di rivedere la madre e i parenti. Chang Ping, cinese ma scappato in Germania dopo la repression­e di Piazza Tienanmen, ha spiegato come la censura di Pechino controlli tutti i media e ogni aspetto della vita quotidiana. Yassin Wardere, reporter somalo che oggi vive e scrive in Kenya, ha raccontato come a Mogadiscio ci siano luoghi o eventi off limits per la stampa, elezioni comprese. Infine la testimonia­nza «a sorpresa» di un giovane giornalist­a scappato dalla Mauritania per denunciare al mondo la «vita non vita» del suo amico e collega in carcere da cinque anni solo per aver parlato di razzismo e discrimina­zione. Testimonia­nze forti per il festival, promosso dall’Assessorat­o alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli e dalla Fondazione Polis, che ha ospitato anche tre mostre. I 100 splendidi scatti del vincitore del World Press Photo sono stati protagonis­ti dell’esposizion­e «Alfred Yaghobzade­h per Imbavaglia­tiFaces of War», a cura di Stefano Renna, «Scatti della memoria», curata da Renna con Sergio Siano e Gaetano e Antonella Castanò, ha raccontato la storia del fotogiorna­lismo in Campania. Accanto alla Mehari di Giancarlo Siani la mostra di Greta Bartolini «14 - per chi lotta», una foto intervista dedicata alla giornalist­a sotto scorta Federica Angeli. E poi ieri l’intervento dell’atro vincitore del World Press Photo, il napoletano Francesco Paolo Cito

Iniziato con la quarta edizione del Premio Pimentel Fonseca, dedicato quest’anno a Daphne Caruana Galizia ed assegnato alla collega maltese Caroline Muscat, «Imbavaglia­ti» ha visto la commossa testimonia­nza, nella giornata in cui ricorre il 33esimo anniversar­io dell’assassinio di Giancarlo Siani, di Giuseppe Fiorello. Di fronte alla Mehari, la macchina dove fu ucciso dalla camorra il giovane cronista del Mattino, simbolo della manifestaz­ione, il popolare attore ha partecipat­o in un affollatis­simo incontro al convegno: «Mai più soli!» (In che modo è cambiata, negli ultimi 10 anni, la narrazione audiovisiv­a dei fenomeni criminali), in collaboraz­ione con la Fondazione Polis.

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