Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’urbanistica sepolta nel cassetto
L’editoriale di Marcello Anselmo (Corriere 23 settembre) lancia l’allarme sul degrado, sulla persistenza delle pessime condizioni sociali del sottoproletariato e dell’endemico sottosviluppo che caratterizzano il Centro storico di Napoli. Ma va osservato che dopo la cementificazione selvaggia della Napoli collinare è stato almeno salvato il Centro storico dalla aggressione della speculazione edilizia.
Successivamente però è stato interrotto un percorso virtuoso, iniziato con il sindaco Antonio Bassolino (1994) il quale chiamò all’urbanistica Vezio De Lucia di Italia Nostra, che introdusse il corretto metodo della pianificazione urbanistica sfociato nel Piano regolatore generale varato dal Comune nel 2004. Di chi la responsabilità?
Il Piano è improntato dalla rigorosa normativa di tutela del Centro storico, ma ha subito incontrato difficoltà l’ attuazione dei programmati piani urbanistici pubblici per la sua valorizzazione: gli interventi di restauro conservativo e riqualificazione urbana. Eppure costituisce un caso emblematico: per fare qualche comparazione Milano e Roma hanno subito la sostituzione di gran parte dell’edilizia storica con costruzioni più recenti; Palermo si è svuotata di buona parte degli abitanti, invece presenti nel Centro storico di Napoli assieme alle loro attività tradizionali che però non si è riusciti a rivitalizzare, così come persistono le condizioni di degrado ambientale e sociale denunciate da Anselmi.
Il programma della prima giunta de Magistris prevedeva il primato dell’azione pubblica nella politica di pianificazione, la stimolazione della proprietà pubblica e privata a intervenire sull’edilizia storica con interventi di restauro conservativo mediante appositi incentivi, e il rilancio con metodi rigorosi del progetto Sirena; l’istituzione un nuovo Dipartimento per la gestione del Centro storico-Unesco: una struttura tecnica con personale di elevate qualità professionali; ma altresì la sostituzione dell’edilizia-spazzatura successiva al 1943. Mi soffermo su questo piano di rottamazione dell’edilizia postbellica (circa 400.000 vani secondo lo scomparso amico Aldo Loris Rossi, che l’auspicava) priva di criteri antisismici, che avrebbe consentito la sostituzione e la riqualificazione del patrimonio edilizio abitativo con architettura di qualità. L’esproprio da parte del Comune comporta la necessità di offrire una abitazione ai proprietari, ma sono da ricostruire nel Centro storico centinaia di fabbricati allo stato di rudere di proprietà comunale o di privati (questi ultimi agevolmente espropriabili perché non hanno ottemperato all’obbligo del ripristino). Vi sono leggi che finanziano ai Comuni tali operazioni, che consentono la realizzazione anche degli immobili-parcheggio durante le ricostruzioni. Quali occasioni di lavoro avrebbero costituto tali operazioni: si sarebbero aperti centinaia di cantieri, tanto che l’allora presidente dell’Acen, Ambrogio Prezioso, si era già dichiarato (Cormez 18-2-2007) d’accordo sull’abbattimento totale dell’edilizia postbellica; e ciò comportava la compartecipazione dei costruttori alla operazione. Infine Italia Nostra propose al Comune di richiedere al Mibact l’apposizione del vincolo paesaggistico ex Codice dei Beni Culturali sul Centro storico-Unesco, che avrebbe definitivamente scongiurato il pericolo di future modifiche alla vigente normativa di Piano. Dopo l’allontanamento dei protagonisti della prima giunta, de Magistris ha sepolto in un cassetto la programmata politica urbanistica, così come non ha risposto, dopo il grave terremoto dell’Italia centrale, alla richiesta di Italia Nostra di un Piano urgente di tutela sismica per la città dal momento che soprattutto nel Centro storico-Unesco i dati della Protezione civile e dell’Istat sono allarmanti: oltre il 70% del tessuto edilizio storico è a rischio perché in cattivo stato di conservazione.
Inoltre sono venuti meno gli obiettivi che la città aveva davanti a sé nel 2011. Erano indicati su due piani diversi ma congiunti: l’attività amministrativa rivolta a garantire l’efficienza dei servizi pubblici, e quindi la vivibilità urbana, nonché il perseguimento di una politica di sviluppo per sciogliere i nodi strutturali che fanno stagnare il processo di avanzamento economico e di trasformazione della struttura sociale. Infine non è stato mosso un dito per promuovere il progetto di riassetto e di sviluppo della città metropolitana. Di fronte a questa misera situazione i partiti di opposizione hanno finora mostrato una sconfortante fiacchezza.