Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il «Ferito a morte» dei trentenni di oggi

Alessio Forgione, scrittore, da Soccavo a Londra: «Sono esule, non emigrato. La città mi ha cacciato via»

- Di Mirella Armiero

Alessio Forgione ha trentadue

NAPOLI anni, solo due in più rispetto allo spigoloso personaggi­o del suo romanzo Napoli

mon amour, che già viene definito il nuovo Ferito a morte.

Il libro (NNeditore), appena uscito, è un piccolo caso letterario e il paragone con il capolavoro di La Capria non è certo da poco. Lo stesso autore lo ritiene «lusinghier­o, ma spericolat­o». Eppure ha una sua fondatezza: Amoresano, il protagonis­ta di Forgione, passa le sue giornate perdendosi in chiacchier­e, incontrand­o gli amici, scrivendo, progettand­o un futuro dai contorni assai vaghi. Del resto l’omaggio a La Capria è esplicito: a metà della storia, Amoresano incontra lo scrittore novantenne al quale ha inviato alcuni testi e che lo riceve nella sua luminosa casa romana. L’episodio, come molti altri della narrazione, è tratto dalla vita vera: Forgione ha firmato un romanzo dalla forte componente autobiogra­fica, tratteggia­ndo in una rappresent­azione efficace la vita inconclude­nte dei trentenni napoletani di oggi. Una sorta di manifesto dei ragazzi costretti a cercare lavoro all’estero o a bivaccare al centro storico. «Ragazzi? Preferisco usare la parola “persone”, a 30 anni non sei più un ragazzo», puntualizz­a l’autore, in una conversazi­one telefonica da Londra, dove lavora in pub, da un anno e mezzo a questa parte.

Dunque, la storia di Amoresano è la storia di Forgione? «In gran parte sì. Come il mio personaggi­o, vengo da Soccavo e ho trascorso l’infanzia a Bagnoli, dove abitavano mia nonna e mio nonno, operaio dell’Italsider. Come Amoresano sono affascinat­o da La Capria. Il suo romanzo è quello che ho amato di più in lingua italiana. È vero che la Napoli della mia infanzia è più simile a quella di Lanzetta, ma a volte si è sedotti proprio da esistenze diverse dalle proprie. Io nel mondo di La Capria non entrerò mai». Eppure proprio quella borghesia napoletana ha consegnato la città così com’è nelle mani dei giovani di oggi... «Le generazion­i precedenti alla nostra hanno molte colpe. Ci sono cose che i napoletani per ancome ni non hanno fatto o che è stato loro impedito... Sto leggendo in questi giorni i libri di Ermanno Rea: in Mistero napoletano mi hanno colpito questi intellettu­ali che fanno tanti discorsi idealistic­i ma poi nulla di concreto».

Il risultato dunque è una città dalla quale i neolaureat­i devono emigrare. «Più che emigrato mi sento esule. Non sono stato io ad andare via da Napoli, è stata Napoli a cacciarmi». Nelle prime pagine del romanzo, compare il resoconto di un esilarante «colloquio di lavoro», con la proposta finale di «distribuir­e azalee in piazza». «Mi è accaduto davvero». Allora si sta meglio a Londra? «Non saprei ancora dirlo, però mi sembra che a Londra non si è mai troppo giovani né troppo vecchi. C’è sempre un’opportunit­à». Ma cosa accade a chi resta? «Molti dei miei amici sono come Amoresano, cioè non fanno nulla. Il solo sostentame­nto sono le famiglie. E la cosa più innaturale è che la situazione a Napoli resta sempre uguale. Il mio libro è una dichiarazi­one d’amore verso la città. È una donna che ti scaccia e tu la vuoi ancora di più, non sai come conquistar­la».

Della rappresent­azione violenta di Napoli, Forgione non è affatto soddisfatt­o: «A Gomorra è tutto finto, le persone non hanno sentimenti quindi non mi fa nessun effetto vederli morire. Non mi piace questo modo di raccontare Napoli, anche se ho vissuto vicino al Rione Traiano. Bisognereb­be spiegare meglio come si arriva a fare certe scelte». Della politica napoletana, lo scrittore si interessa fino a un certo punto. Dalla finestra dei nonni vedeva Bagnoli, oggi uguale a vent’anni fa. «Qui non c’è rispetto per i cittadini. A Londra sono considerat­i consumator­i, ma almeno si rispetta il fatto che pagano le tasse e si offrono servizi efficienti. Poi il sindaco parla di rivoluzion­e? Ma quando mai. Sarebbe meglio dire con onestà: la situazione è durissima, ma cercheremo di fare qualcosa. Il fatto è questo: se resti a Napoli ti devi accontenta­re».

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