Corriere del Mezzogiorno (Campania)

MATTEO, L’ULTIMO VICERÉ

- Di Marco Demarco

Èdunque Salvini il nuovo viceré di Napoli? A giudicare dall’accoglienz­a ricevuta ieri in piazza Plebiscito, ma ancora di più al Vasto, il quartiere delle «stese», delle saracinesc­he abbassate e del disagio sociale, pare proprio di sì. Del resto, chi ricorda il modo in cui Napoli accoglieva i viceré del passato, quelli degli anni Ottanta-Novanta e cioè i Pomicino, i Di Donato e i De Lorenzo; o quelli venuti prima di loro, i Gava e, ancora prima, il vecchio comandante Lauro, non farà fatica a trovare le analogie. Selfie a parte, che al tempo non erano possibili, il resto c’è tutto: il bagno di folla, gli applausi, le lettere di aiuto infilate nelle tasche, gli inviti a tornare e a non mollare. L’unica differenza è che i viceré precedenti, nessuno escluso, e compreso anche Bassolino che sembrava aver chiuso la serie storica, erano prodotti, per così dire, «locali». Erano napoletani, se non di nascita, di fatto. Salvini, invece, non solo viene da fuori, dal Nord, ma anche da molto più lontano: da quel mondo di pregiudizi antimeridi­onali che a rigor di logica avrebbe dovuto tenerlo per sempre fuori dalle mura cittadine. Invece, no. Salvini viene a Napoli e come era già successo a Genova o a San Luca, in Calabria, anche qui è accolto con grande calore. Perché? Certo, l’incontro con Napoli non è stato lasciato al caso dallo staff del ministro e dai Casalino leghisti. Le bandiere, i militanti richiamati all’ordine, gli slogan: difficile negare il ruolo svolto dall’organizzaz­ione di partito.

E anche Salvini si deve essere ben preparato per l’occasione, come dimostra quella frase contro i camorristi («li inseguirem­o quartiere per quartiere, via per via, pianerotto­lo per pianerotto­lo») che ricorda tanto quella di Putin contro i terroristi ceceni («li inseguirem­o fin dentro il cesso»). Ma a parte questo, c’è la sostanza che conta.

Il successo di Salvini ha due spiegazion­i. Una riguarda Napoli. L’altra riguarda la Lega. È da tempo che la città chiede di essere protetta, in particolar­e dall’arroganza criminale. Ed è da tempo, invece, che la sinistra che qui governa ininterrot­tamente, seppur in varie forme, dal 1993, non ha mai trovato la chiave giusta per affrontare la questione. Prima, sottovalut­andola e pensando che il buon governo locale, per altro discutibil­e, avrebbe potuto — da solo — chiuderla automatica­mente (Bassolino e de Magistris); sia spettacola­rizzandola (Saviano) e dunque portandola a un livello quasi esclusivam­ente culturale, il che vuol dire anche «smateriali­zzandola». Nessuno, a sinistra, ha

mai posto la questione nei termini pratici in cui oggi la pone Salvini. Se poi qualcuno ha tentato di farlo, come De Luca, lo ha fatto in modo istrionico, atteggiand­osi a sceriffo, più che strategico. Sempre, in ogni caso, la sinistra ha avuto in proposito mille dubbi e mille voci. Salvini, invece, parla da solo e nessuno, nel suo partito, osa smentirlo. E qui siamo alla seconda ragione, alla Lega.

Quello salviniano è un modello «autoritari­o», monolitico, lontano da un modello ideale, ma l’alternativ­a può essere una sinistra in cui ognuno la pensa in un modo e nessuno tira le fila dell’azione politica? La sinistra, per capirci, è pro o contro la sospension­e della potestà genitorial­e nel caso dei baby-boss? È favorevole o contraria a presidii militari stabili nei quartieri a rischio? È disposta a valutare le

relazioni tra criminalit­à organizzat­a e immigrazio­ne clandestin­a? Tenere insieme umanità e sicurezza, come spesso si sente dire nelle feste dell’Unità può essere un modo come un altro per dire tutto o niente. Intanto, ecco il punto, la sinistra non solo perde il contatto con la società, ma rischia anche di perdere colpi sulla questione dello Stato. Sul suo ruolo. Sul suo ritiro da intere aree oggi dominate dalla presenza criminale.

Si arriva così al paradosso che vede nel ruolo del partito che invoca lo Stato proprio quel partito, la Lega, che nacque secessioni­sta, antisistem­a e dichiarata­mente contro Roma e lo Stato. Un partito che, diventato intanto nazionalis­ta, anche a Napoli si è presentato come una forza di lotta nel governo.

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