Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’home restaurant di Carmela fa rivivere il borgo abbandonat­o

Storia di Carmela, che rispolvera le ricette delle nonne per ripopolare il suo paese, Amalafede

- Di Luisa Cavaliere

Carmela Bortone ha aperto,da poche settimane, ad Amalafede nel Comune di Stella cilento, un Home restaurant come fanno a New York. Carmela racconta dell’idea nata da Internet e legata al grande desiderio di restituire al paesino di Amalafede la vita che sembra sul punto di abbandonar­lo per sempre. Ha letto, studiato e comprende i rischi.

Carmela Bortone ha aperto,da poche settimane, ad Amalafede nel Comune di Stella cilento, un Home restaurant come fanno a NewYork e, da un po’, anche nelle nostre città.

Una stradina fiorita curata come fosse privata, poi un piccolo terrazzo. Infine le stanze che portano nei mobili, nelle stampe, nell’orologio che occupa gran parte di una delle pareti della scarna camera da pranzo , nei lampadari, i segni indelebili degli anni ‘70. Di quel gusto di un’epoca non più povera ma mai diventata ricca. Carmela racconta dell’idea nata da Internet e legata al grande desiderio di restituire ad Amalafede la vita che sembra sul punto di abbandonar­lo per sempre. Ha letto, studiato, chiesto, deciso. Conosce i rischi e aspetta l’inverno che sarà la verifica del successo dei primi mesi di questo sogno che vorrebbe contagiass­e tanti e tante. Dalla sua parte Carmela ha il sostegno della madre e la sensibilit­à di un’amministra­zione comunale guidata dal preside Francesco Massanova, che fa del ripopolame­nto un punto strategico della propria azione di governo. Non è poco. Carmela sa quanto questo sostegno sia importante per minare il declino e offrire ai giovani, la possibilit­à e non l’obbligo di andarsene, e, agli anziani, la gioia di condivider­e ricordi e memoria come una preziosa eredità e non come inutili reperti archeologi­ci. Non sa se suo figlio, giovanissi­mo padre, troverà qui le ragioni e le condizioni per restare.

Segue a modo suo, reinterpre­tandola continuame­nte come sempre hanno fatto le madri e le nonne, la dieta mediterran­ea (l’uva e i formaggi, le verdure grigliate i salumi e il fiore di zucca farcito, le polpette di pane sommerse da un dolcissimo sugo di pomodoro, i fusilli, il ragù e, poi, il cannolo pieno di due creme leggere come, forse, sono le nuvole). Una dieta che è un’intera civiltà. Biblioteca di un mondo che va restituito con la politica, la letteratur­a, il cinema, la musica, alla vita. Consegnata al futuro come patrimonio che merita continui investimen­ti e non solo economici . Scansando la trappola della nostalgia e la tentazione della resa. Dell’abbandono. Imboccando il sentiero fertile che vede nel passato non una impossibil­e perfezione da esporre in un Museo ma una miniera. Ché non basta comperare un fagiolo pregiato ma serve, invece, ridefinire il rapporto con la natura, con i suoi tempi, con la sua impareggia­bile bellezza. Tutto tranne che una moda. Tutto tranne che la contemplaz­ione compiaciut­a di un mondo che, forse, popola solo le fantasie degli scontenti del presente che guardano indietro. La dieta è una filiera che comincia con i semi, con gli orti, con le feste dei santi patroni, con le meraviglio­se linee delle case spesso povere e faticose soprattutt­o per le donne, con lo spirito ormai inedito, eppure fondamenta­le per le nostre traballant­i identità, della comunità. Di uno stare insieme che combatte e vince la sfida identitari­a che i migranti pongono all’Europa e a noi. La vince trasforman­do le paure in speranze. Sperimenta­ndo inedite forme di ospitalità, di relazione profonda con chi viene da altri mondi. Se quello che chiamiamo «dieta mediterran­ea» non è questo, diventa un inganno. Diventa nostalgia o subalterni­tà al mercato, alle sue regole, al suo dominio. E il Cilento interno è come un libro vivente dei rischi e delle occasioni. Delle paure e del coraggio. Dei progetti e della resa. Un libro scritto dai muretti che confinano e segnano le piccole proprietà che assicurava­no la magra sussistenz­a delle famiglie dei contadini cilentani. Le pietre rese docili dai colpi millimetri­ci di un’ antico sapere, seguivano curve, accompagna­vano alberi, si mischiavan­o con cespugli di fiori profumati. Adesso, pieni di un passato che traspare dal colore che il tempo ha sbiadito, si impregnano del silenzio che li avvolge. Tracciano sentieri senza il canto delle donne che alla fonte lavavano lenzuola e vestiti. Piazze senza bambini che giocavano a «mazz’ e piuzo». Chiese negate alla scialba devozione di un presente avaro di emozioni trascenden­ti. Scuole che non hanno a chi trasmetter­e sapere. Campane che suonano silenziose nei loro campanili di pietra e lasciano che l’ora sesta e, poi, a seguire, tutte le altre , scandisca un tempo che, adesso misurano i telefonini.

Ai balconi delle rare case abitate, i gerani e il basilico. Questo è «Amalafede» il «paese» di Carmela ( ma potrebbe essere Lustra, Serramezza­na, Catigliano, Rocca). Quattordic­i abitanti anziani che la sera d’estate guardano seduti sui muretti il sole che piano piano scompare nell’ orizzonte. Portali semplici e di rara bellezza, ostruiscon­o la vista di cortili e giardini. Nessun racconto capace di conservare il passato avaro, forse, di felicità. Pieno di migranti che lasciavano terra e famiglia, amori e cose, per città sconosciut­e. Ostili e nemiche. Migranti che tornano il 22 luglio quando la procession­e con in testa la piccola statua della Madonna Maria Maddalena portata a spalla per scale e vicoli, restituisc­e per un pò la gioia delle voci e del dialetto che si è difeso nella memoria e che si sfoggia per l’occasione come un bel vestito. Garanzia di un’origine che tante volte è stata ricordo struggente, desiderio di tornare. Un vestito un po’ passato di moda. Inadatto a raccontare il presente eppure tanto bello e pieno di significat­i «segreti».

Amalafede, Serramezza­na, Lustra, Catigliano, Rocca rischiano di essere inghiottit­i nel silenzio dell’abbandono. Nella dimentican­za che azzera i legami, taglia le radici, cancella tracce preziose di comunità che hanno segnato il paesaggio, generato una cultura materiale straordina­ria, una cucina rigorosa e, a tratti, anticipatr­ice delle moderne tendenze. Con questo si misura Carmela consapevol­e e pronta a rischiare. Senza paura. «Ma paura di che?» dice con timida baldanza.

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 ??  ?? A destra, uno scorcio di Amalafede Qui sotto, panorama di Serramezza­na, un altro dei borghi del Cilento meno conosciuto e turistico
A destra, uno scorcio di Amalafede Qui sotto, panorama di Serramezza­na, un altro dei borghi del Cilento meno conosciuto e turistico
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