Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La protesta dei movimenti questa volta non sfonda I fan sono più numerosi

- di Fabrizio Geremicca

Diciannove mesi fa ci fu un pomeriggio di guerriglia urbana: gli scontri tra alcune centinaia di manifestan­ti e polizia davanti alla Mostra d’Oltremare e nelle strade di Fuorigrott­a conclusero una giornata durante la quale migliaia di persone avevano sfilato contro il comizio napoletano di Matteo Salvini, all’epoca solo il leader della Lega.

Ieri non c’è stato nessun incidente e sono scesi in piazza molti di meno, rispetto a marzo 2017, per contestare la presenza a Napoli del leader della Lega, nel frattempo assurto al ruolo di ministro degli Interni grazie al governo gialloverd­e. Non più di 400, tutti animati però dalla determinaz­ione di avvicinars­i il più possibile a piazza del Plebiscito ed alla prefettura, dove era in corso il vertice per l’ordine pubblico e per la sicurezza.

Attivisti di Insurgenci­a, il centro sociale di lotta e di governo, ormai da tempo molto vicino alla giunta de Magistris. I ragazzi dell’ex Opg occupato. I giovani africani del movimento migranti e rifugiati, che scandiscon­o slogan in francese ed in inglese contro il recente decreto sicurezza. Ancora: esponenti dei disoccupat­i organizzat­i come Gino Monteleone; la consiglier­a comunale Eleonora de Majo; l’assessore al Welfare della giunta de Magistris, Roberta Gaeta; l’ex presidente del consiglio comunale Sandro Fucito, di Rifondazio­ne Comunista. Tra i vari striscioni, una citazione di Pino Daniele: «Questa Lega è una vergogna». Scritte di solidariet­à nei confronti di Mimmo Lucano, il sindaco di Riace agli arresti domiciliar­i con l’accusa di favoreggia­mento dell’immigrazio­ne clandestin­a e fraudolent­o affidament­o diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. Si alternano al microfono gli interventi, mentre da uno smartphone all’altro ci si scambia, con un misto di incredulit­à e rabbia, le immagini dei ragazzi africani che un paio d’ore prima al Vasto si sono scattati selfie con Salvini. «Lo hanno fatto per prenderlo in giro», sostiene Jamal Quaddorah, il referente della Cgil per i migranti in città, ma non convince nessuno. Dopo circa tre quarti d’ora di assemblea a largo Berlinguer, davanti alla stazione Toledo della metropolit­ana, si decide di partire in corteo. Per aggirare l’imponente sbarrament­o di polizia che vorrebbe tenerli fermi in presidio, i manifestan­ti scartano a destra, lungo via De Deo, percorrono vico Lungo Gelso ed attraversa­no i Quartieri Spagnoli. Provano a ridiscende­re su via Toledo da via De Cesare, ma si accorgono che li aspettano al varco decine e decine di agenti in assetto antisommos­sa. Proseguono allora per via Sant’Anna di Palazzo e si riversano in via Chiaia. All’altezza del Caffè Gambrinus l’ultimo sbarrament­o è quello decisivo.

I celerini indossano i caschi ed impediscon­o a chiunque di andare oltre. Bloccano perfino chi non ha nulla che fare con il corteo ed è costretto a tornare indietro e ad improvvisa­re itinerari tortuosi per raggiunger­e via Toledo e piazza del Plebiscito. La Digos discute con gli organizzat­ori della manifestaz­ione e comunica loro che oltre quella linea non si passa. Gli attivisti alla fine si fermano lì, a qualche centinaio di metri dal Palazzo di governo. Provano a fare arrivare la propria voce ed i propri slogan nelle stanze istituzion­ali. Cori, sfottò, insulti all’indirizzo del leader della Lega. Un breve lancio di monetine in direzione della prefettura («per ricordare i 49 milioni che il partito di Salvini ha rubato dai soldi pubblici e finge di restituire in un secolo») conclude la mattinata di protesta.

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In piazza Matteo Salvini salutato dai sostenitor­i alla fine dell’incontro dal prefetto

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