Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La protesta dei movimenti questa volta non sfonda I fan sono più numerosi
Diciannove mesi fa ci fu un pomeriggio di guerriglia urbana: gli scontri tra alcune centinaia di manifestanti e polizia davanti alla Mostra d’Oltremare e nelle strade di Fuorigrotta conclusero una giornata durante la quale migliaia di persone avevano sfilato contro il comizio napoletano di Matteo Salvini, all’epoca solo il leader della Lega.
Ieri non c’è stato nessun incidente e sono scesi in piazza molti di meno, rispetto a marzo 2017, per contestare la presenza a Napoli del leader della Lega, nel frattempo assurto al ruolo di ministro degli Interni grazie al governo gialloverde. Non più di 400, tutti animati però dalla determinazione di avvicinarsi il più possibile a piazza del Plebiscito ed alla prefettura, dove era in corso il vertice per l’ordine pubblico e per la sicurezza.
Attivisti di Insurgencia, il centro sociale di lotta e di governo, ormai da tempo molto vicino alla giunta de Magistris. I ragazzi dell’ex Opg occupato. I giovani africani del movimento migranti e rifugiati, che scandiscono slogan in francese ed in inglese contro il recente decreto sicurezza. Ancora: esponenti dei disoccupati organizzati come Gino Monteleone; la consigliera comunale Eleonora de Majo; l’assessore al Welfare della giunta de Magistris, Roberta Gaeta; l’ex presidente del consiglio comunale Sandro Fucito, di Rifondazione Comunista. Tra i vari striscioni, una citazione di Pino Daniele: «Questa Lega è una vergogna». Scritte di solidarietà nei confronti di Mimmo Lucano, il sindaco di Riace agli arresti domiciliari con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti. Si alternano al microfono gli interventi, mentre da uno smartphone all’altro ci si scambia, con un misto di incredulità e rabbia, le immagini dei ragazzi africani che un paio d’ore prima al Vasto si sono scattati selfie con Salvini. «Lo hanno fatto per prenderlo in giro», sostiene Jamal Quaddorah, il referente della Cgil per i migranti in città, ma non convince nessuno. Dopo circa tre quarti d’ora di assemblea a largo Berlinguer, davanti alla stazione Toledo della metropolitana, si decide di partire in corteo. Per aggirare l’imponente sbarramento di polizia che vorrebbe tenerli fermi in presidio, i manifestanti scartano a destra, lungo via De Deo, percorrono vico Lungo Gelso ed attraversano i Quartieri Spagnoli. Provano a ridiscendere su via Toledo da via De Cesare, ma si accorgono che li aspettano al varco decine e decine di agenti in assetto antisommossa. Proseguono allora per via Sant’Anna di Palazzo e si riversano in via Chiaia. All’altezza del Caffè Gambrinus l’ultimo sbarramento è quello decisivo.
I celerini indossano i caschi ed impediscono a chiunque di andare oltre. Bloccano perfino chi non ha nulla che fare con il corteo ed è costretto a tornare indietro e ad improvvisare itinerari tortuosi per raggiungere via Toledo e piazza del Plebiscito. La Digos discute con gli organizzatori della manifestazione e comunica loro che oltre quella linea non si passa. Gli attivisti alla fine si fermano lì, a qualche centinaio di metri dal Palazzo di governo. Provano a fare arrivare la propria voce ed i propri slogan nelle stanze istituzionali. Cori, sfottò, insulti all’indirizzo del leader della Lega. Un breve lancio di monetine in direzione della prefettura («per ricordare i 49 milioni che il partito di Salvini ha rubato dai soldi pubblici e finge di restituire in un secolo») conclude la mattinata di protesta.