Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Serie tv in napoletano? Meglio senza sottotitoli
La resa in italiano spesso fa smarrire le sfumature della lingua originale
«Lenù trasetènne!», Elena entra in casa! Non c’è paragone, trasetènne è un diktat, entra in casa un invito. Imparare il napoletano servirebbe ai non-napoletani quantomeno per gustare nel modo migliore le serie tv italiane (!) di alta qualità.
Il problema si pone: sono milioni i fan del «Gomorra» di Sollima e se ne conteranno altrettanti per «L’Amica Geniale» di Saverio Costanzo, prodotto dell’americana Hbo, tratta dal longseller di Elena Ferrante, programmato per 3 giorni al cinema ad inizio ottobre e in attesa della messa in onda tv. Lenù è Elena Greco cui presta il volto da bambina Elisa Del Genio: insieme a Lila, una formidabile Ludovica Nasti, vaga per il Rione Luzzati negli anni Cinquanta, ricostruito nel Casertano, immersa per intero nei suoni del vernacolo, unico codice riconosciuto, aule scolastiche a parte: una verità che persino l’autrice nella tetralogia nega, per legittima scelta stilistica (Ferrante usa aggiungere «…disse Lila in dialetto» alle frasi rese in italiano). È vero, ci sono i sottotitoli, che da Gaeta in su rendono comprensibili i dialoghi, ma è una prassi consolidata da non molti anni: «Scugnizzi» di Nanni Loy non ce li aveva né «Vito e gli altri» di Capuano. I sottotitoli non risolvono la querelle: chi impazzisce per «Pulp Fiction» di Tarantino prima o poi l’ha scorso in originale e non riesce a non goderselo se non in slang. Sarebbe allora giusto essere conseguenti se davvero queste serie tv di caratura mondiale sono tanto amate: premiarsi apprendendo la lingua di Viviani, almeno un’infarinatura di base.
Alla Cattleya, produttori di «Gomorra», ci hanno riflettuto: tra i contenuti speciali del dvd-cofanetto della terza stagione, di recente uscita, hanno inserito brevi lezioni di argot partenopeo. L’ambivalenza, spiega in video Ciro l’Immortale, di tante maleparole, per esempio, eh già, «cessa», cangiante al variare di contesto e interlocutore. È un inizio, e non stupirebbe poi tanto un bignami di napoletano in forma di demo su YouTube per educarsi finalmente a guardare l’epopea dei Savastano senza sottotitoli o per ammonire filologicamente i ferrantiani italiani a distinguere ‘nu purtuallo da una banale arancia (Enzo Scanno, fruttivendolo, nel film urla di carcioffole, crisommole e sòvere come si conviene). Di gente disposta a bruciare tempo e neuroni per un idolo è piena la storia. Al di fuori delle università i grandi appassionati di filosofia si applicavano a inizio ‘900 nel tedesco per assorbire Schopenhauer così com’è, giacché gli pareva impagabile pronunciare correttamente Die Welt als Wille und Vorstellung, il mondo come volontà e rappresentazione. Si spendevano per una