Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Ma i delinquenti ci riportano alla normalità
Tempo fa una mia vecchia conoscenza di strada con remoti e poco edificanti trascorsi penali mi raccontò dell’abilità di certi rapinatori partenopei nel riconoscere un Rolex falso da uno vero.
E, tra questi, il Rolex di valore da quello meno importante. Lo scintillio, mi diceva rimembrando gli antichi errori, fa tutta la differenza del mondo. Era una luce chiarificatrice, che ne stabiliva il valore, il prezzo, e nel caso ti impediva di prendere un rischio inutile evitandoti tanta fatica per una patacca. Soprattutto di notte. Dunque dev’essere stato codesto riflesso luminoso ad aver convinto, l’altra notte, i rapinatori dell’orologio di lusso del centravanti polacco del Napoli, Arkadiusz Milik, a fiondarsi sul prezioso oggetto dopo una serata di festa per i tifosi, per lo stesso Milik e per la città intera. Non è la prima volta che accade e di certo non sarà l’ultima. Casi del genere, peraltro, abbondano in tutte le grandi città italiane.
Per quanto riguarda i calciatori partenopei, la sfilza di episodi simili nel passato è lunga e affonda nella notte dei tempi, da quando i calciatori sono diventati delle celebrità che come tutti i privilegiati corrono il rischio di essere presi di mira da chi quel privilegio sa come ricettarlo. È ormai leggenda – e chissà quanto corrisponde al vero - il racconto di quella volta che, dopo una vittoria particolarmente significativa, il beniamino Ciro Ferrara fu avvicinato e rapinato da due balordi che in seguito, resisi conto di chi avevano osato derubare, tornarono indietro per restituirgli il maltolto. Solita narrativa in salsa partenopea, si dirà. Oppure maldestro tentativo di ricomporre a una dimensione pittoresca la piaga sociale della criminalità.
Quel che è certo è che a Napoli anche gli episodi di cronaca ormai si ripetono da decenni con poche variazioni sul tema e si rincorrono in un eterno ritorno che, al di là della curiosità immediata, ci lascia perlopiù indifferenti. In questo nemmeno il nostro centravanti polacco fa eccezione rispetto a qualsiasi altro individuo che in quel momento si sarebbe trovato con i suoi preziosi a passare da Varcaturo. Al più il fattaccio testimonia ancora una volta il brodo di cultura in cui tutti, da qualsiasi parte della barricata ci troviamo, siamo immersi fino al collo. È la conseguenza del vivere a Napoli, bellezza. Tifiamo per il club di DeLa, andiamo allo stadio, ci mischiamo con persone a cui in un altro contesto nemmeno ci salterebbe in mente di rivolgere la parola, festeggiamo tutti insieme per amore della squadra e, va da sé, per quest’idea di riscatto della città che ci portiamo dentro, dopodiché torniamo a casa ciascuno con il suo livello di cultura, reddito e sentimento.
Smessi i panni del tifoso e abbassati i livelli di adrenalina torniamo a essere noi stessi. Ognuno dal suo lato della barricata, dal suo angolo di città fatta di guardie e ladri, rapinatori e rapinati, giacobini e sanfedisti. Se volessimo in futuro impedire nuova rapine ai danni del Milik di turno, non basterebbe sbattere in cella tutti i giovani napoletani. Vogliamo evitare la pubblicità negativa che ne viene all’immagine della città da episodi del genere? Bene. Proviamo a indirizzarne prima che sia troppo tardi le straordinarie attività nel riconoscere il brillio di un Rolex vero da uno patacca verso settori più legali e produttivi. Sono da sempre convinto che la stragrande maggioranza dei giovani napoletani impiegati nel crimine potrebbe eccellere in qualsiasi altro settore se tra le mani, al posto della pistola, qualcuno provasse sul serio a mettergli una penna.