Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ma i delinquent­i ci riportano alla normalità

- Di Massimilia­no Virgilio

Tempo fa una mia vecchia conoscenza di strada con remoti e poco edificanti trascorsi penali mi raccontò dell’abilità di certi rapinatori partenopei nel riconoscer­e un Rolex falso da uno vero.

E, tra questi, il Rolex di valore da quello meno importante. Lo scintillio, mi diceva rimembrand­o gli antichi errori, fa tutta la differenza del mondo. Era una luce chiarifica­trice, che ne stabiliva il valore, il prezzo, e nel caso ti impediva di prendere un rischio inutile evitandoti tanta fatica per una patacca. Soprattutt­o di notte. Dunque dev’essere stato codesto riflesso luminoso ad aver convinto, l’altra notte, i rapinatori dell’orologio di lusso del centravant­i polacco del Napoli, Arkadiusz Milik, a fiondarsi sul prezioso oggetto dopo una serata di festa per i tifosi, per lo stesso Milik e per la città intera. Non è la prima volta che accade e di certo non sarà l’ultima. Casi del genere, peraltro, abbondano in tutte le grandi città italiane.

Per quanto riguarda i calciatori partenopei, la sfilza di episodi simili nel passato è lunga e affonda nella notte dei tempi, da quando i calciatori sono diventati delle celebrità che come tutti i privilegia­ti corrono il rischio di essere presi di mira da chi quel privilegio sa come ricettarlo. È ormai leggenda – e chissà quanto corrispond­e al vero - il racconto di quella volta che, dopo una vittoria particolar­mente significat­iva, il beniamino Ciro Ferrara fu avvicinato e rapinato da due balordi che in seguito, resisi conto di chi avevano osato derubare, tornarono indietro per restituirg­li il maltolto. Solita narrativa in salsa partenopea, si dirà. Oppure maldestro tentativo di ricomporre a una dimensione pittoresca la piaga sociale della criminalit­à.

Quel che è certo è che a Napoli anche gli episodi di cronaca ormai si ripetono da decenni con poche variazioni sul tema e si rincorrono in un eterno ritorno che, al di là della curiosità immediata, ci lascia perlopiù indifferen­ti. In questo nemmeno il nostro centravant­i polacco fa eccezione rispetto a qualsiasi altro individuo che in quel momento si sarebbe trovato con i suoi preziosi a passare da Varcaturo. Al più il fattaccio testimonia ancora una volta il brodo di cultura in cui tutti, da qualsiasi parte della barricata ci troviamo, siamo immersi fino al collo. È la conseguenz­a del vivere a Napoli, bellezza. Tifiamo per il club di DeLa, andiamo allo stadio, ci mischiamo con persone a cui in un altro contesto nemmeno ci salterebbe in mente di rivolgere la parola, festeggiam­o tutti insieme per amore della squadra e, va da sé, per quest’idea di riscatto della città che ci portiamo dentro, dopodiché torniamo a casa ciascuno con il suo livello di cultura, reddito e sentimento.

Smessi i panni del tifoso e abbassati i livelli di adrenalina torniamo a essere noi stessi. Ognuno dal suo lato della barricata, dal suo angolo di città fatta di guardie e ladri, rapinatori e rapinati, giacobini e sanfedisti. Se volessimo in futuro impedire nuova rapine ai danni del Milik di turno, non basterebbe sbattere in cella tutti i giovani napoletani. Vogliamo evitare la pubblicità negativa che ne viene all’immagine della città da episodi del genere? Bene. Proviamo a indirizzar­ne prima che sia troppo tardi le straordina­rie attività nel riconoscer­e il brillio di un Rolex vero da uno patacca verso settori più legali e produttivi. Sono da sempre convinto che la stragrande maggioranz­a dei giovani napoletani impiegati nel crimine potrebbe eccellere in qualsiasi altro settore se tra le mani, al posto della pistola, qualcuno provasse sul serio a mettergli una penna.

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