Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Disabile morì da boss, ma era vittima innocente Ergastolo ai tre killer
I genitori: per accertare la verità riesumata la salma
Si è concluso con cinque condanne, di cui tre all’ergastolo, il processo per l’omicidio di Antonio Landieri, il giovane disabile ucciso per errore nel 2004 nel corso della faida di Scampia: costretto su una sedia a rotelle, era in un circolo ricreativo per giocare a bigliardino e non riuscì ad allontanarsi in tempo quando i killer si misero a sparare. Il gup Giovanna Cervo, al termine del processo con rito abbreviato, ha disposto il carcere a vita per i tre esecutori materiali, Giovanni Esposito, Davide Francescone e Ciro Caiazza, accogliendo la richiesta del pm Maurizio De Marco; i tre perdono anche la potestà genitoriale. Diciassette anni e quattro mesi per i pentiti Gennaro Notturno e Pasquale Riccio; assolti invece l’altro pentito Giovanni Piana e il boss Cesare Pagano, che per l’accusa era invece il mandante. Lette le motivazioni della sentenza, che saranno depositate tra 90 giorni, il pm valuterà se ricorrere in appello.
Alla lettura del dispositivo erano presenti nell’aula 413 i genitori di Antonio, Vincenzo e Raffelina, la sorella Stefania e altri familiari, tutti profondamente commossi. «Per moltissimo tempo — racconta Vincenzo Landieri — nel quartiere ci hanno guardato con diffidenza. Tutti conoscevano Antonio come un ragazzo perbene, eppure la sua morte alimentò dubbi e sospetti. Adesso, almeno, una sentenza stabilisce ufficialmente che nostro figlio è una vittima innocente della criminalità organizzata». Per arrivare a questo risultato, sottolinea l’avvocato di parte civile Elena Coccia, la famiglia ha dovuto sostenere una difficile battaglia durata dieci anni: «All’inizio si disse che Antonio fosse l’obiettivo dei killer. Poi, quando venne fuori che era disabile, si muoveva con enorme difficoltà e aveva anche problemi psichici, qualcuno insinuò che facesse il palo. È stato necessario riesumare la sua salma per avere la conferma che, per i gravissimi problemi muscolari, non poteva avere neppure un ruolo di secondo piano in un gruppo criminale».
Antonio, insomma, era un ragazzo semplice, che trascorreva moltissimo tempo in casa. «L’unica sua distrazione — ricorda ancora il padre — era il bigliardino. Ogni tanto gli amici lo venivano a prendere e lo portavano con loro al circolo. Quella sera erano in sei: cinque riuscirono a fuggire, lui no». I killer scambiarono il gruppetto di giovani per una banda di spacciatori della zona dei «sette palazzi». Un clamoroso errore, sancisce ora la sentenza. Nel corso di questi anni, i familiari di Antonio, che nel quartiere era conosciuto con il soprannome di E. T., hanno rifiutato, indignati, un risarcimento di 150.000 euro offerto dagli indagati.