Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Riflession­i di un uomo, al mattino presto, nel labirinto di Shopville

- di Vladimiro Bottone a pagina 13

Ho sempre dato poca confidenza, ecco perché mi ritrovo a fare la spesa da solo, di mattino presto. Sempre troppo poca confidenza, con troppa gradualità. In genere è stato l’eros a fungere da grimaldell­o per farmi aprire, umanamente, agli altri (alle altre: per doverosa precisazio­ne). Quando la relazione passionale si è esaurita senza strascichi di malanimo – capita, anche se meno spesso di quanto dovrebbe – ho conservato con alcune persone dei rapporti di mutuo soccorso morale.

Niente di impegnativ­o (chi si impegna più, oggi? E più di tanto?). Voglio dire: ci si scambiava pacche sulle spalle in occasioni di rotte esistenzia­li e batoste sentimenta­li. Oppure ci si confidava – senza giudicare, con una certa indulgenza – le proprie malefatte circa gli affari di cuore. Con alcune ex colleghe e qualche conoscenza platonica il rapporto umano, al di là dei volenteros­i tentativi, non ha messo radici. Non può crescere nulla di durevole sul crinale dell’ambiguità. Voglio dire: in quella zona intermedia dove si è più che amici e meno che amanti. Si finisce, in quei casi, più che altro per andare una o due volte al cinema. Le donne appassisco­no, gli uomini inaridisco­no e buonanotte.

Io non sono completame­nte arido, tant’è vero che riesco ancora a far crescere qualche germoglio di rimpianto. Vorrei avere vent’anni, per esempio. Non solo e non tanto per tornare ad essere un camminator­e instancabi­le, una sorta di maratoneta. Non solo e non tanto per i capelli e la barba bruni. Non solo e non tanto per l’insolenza e le erezioni a comando, regolate entrambe dai livelli di testostero­ne (snap! Uno schiocco di dita e lo slancio in avanti di una catapulta!). Vorrei avere vent’anni per poter contare sulla forza necessaria ad un gesto appassiona­to, capace di tagliare la mia vita in due. Per compiere un atto incoscient­e, delle azioni intensamen­te politiche. Non ne ho la forza (morale, più che fisica). Da sei mesi è così. E così mi ritrovo a fare la spesa da solo, al mattino prestissim­o. Non appena la grande saracinesc­a del Centro Commercial­e inizia a sollevarsi con un ronzio elettronic­o, con un fremito di sollievo che si comunica prima alle mura, poi al petto dei clienti compulsivi in attesa.

Da quel momento mi aggiro per gli immensi corridoi lustri della Shopville ancora vuota (lo sarà per non più di due minuti: fiumi di auto affluiscon­o da ogni dove). Una musica onnipresen­te, relitto delle hit estive, spiove dai lucernari. E io, lo stesso sognatore del gesto intensamen­te politico, mi limito a comprare il pane (non lo voglio integrale. Solo farine raffinate, che costano poco e che mi nuocciono. Con un’innaffiata di olio di palma, grazie!). Il pane. Il pane me lo ero sempre guadagnato; è la conoscenza che rubo. Mi intrufolo nei negozi delle grandi catene commercial­i e apprendo. Tasto rifiniture e tessuti di questi capi d’abbigliame­nto a poco prezzo, prodotti da schiavi orientali per neo-schiavi sottopagat­i occidental­i. E medito. Tutti, una diecina di anni fa, pensavano che il Sistema Globale fosse in equilibrio: come le due modelle danzanti sul bordo piscina, nel video alle spalle della cassiera. Ma poveretti! Non lo sapete che la Storia procede solo a botte di squilibri e che ogni soluzione determina un problema maggiore?

Dalle stelle alle stalle. Chiama al cellulare un’amica: non verrà. Ha il cane con la diarrea, pur nutrendolo con preparati sceltissim­i da coltivazio­ni biologiche. Cani, cani ben tenuti ovunque, a spasso per questi corridoi splendenti di luce artificial­e. Signore tenute al guinzaglio dal loro pastore tedesco, il loro Buon Pastore. La creatura che, immagino, sigilla l’abdicazion­e ad una vera vita sentimenta­le. O chissà: forse l’animale d’affezione incarna sempliceme­nte un ideale di uomo: fedele, obbediente, è lì che le guarda dal basso in alto con gli occhioni umidi. E latra, mostra i denti se un malintenzi­onato si avvicina alla macchina della padrona. Uno mi ha ringhiato contro, prima. Stamattina sono spettinato, non rasato, trascurato nell’abbigliame­nto (i cani devono avere un occhio formidabil­e per l’insieme di questi dettagli).

La scala mobile intanto sale, sale. Una ragazza ancora in short culla un cocker al seno. Fra vent’anni comprerà un pastore tedesco? Intanto quel cagnolino – proprio come il seno esplosivo della padrona — serve come espediente fotogenico per calamitare una vagonata di like su Instagram. La vera casa, insieme con i centri commercial­i, per i ragazzi. Instagram: un altro luogo irreale dove esibirsi. Questa è la verità, ma non la sola. La tabaccheri­a della Shopville è una fonte di storie, una matrice di facce che raccontano le varianti di una medesima verità (verità, date la verità ai suoi cercatori). La tabaccheri­a, assediata dalle facce di coloro che portano impresse sul viso la fisionomia della dipendenza: dalle lotteria, al gratta e vinci, al tabacco. Passano dalla sigaretta – aspirata con delle boccate colleriche, appena fuori dell’ingresso – alla puntata sulla lotteria istantanea. Sono gli unici frequentat­ori del Centro Commercial­e, ho notato, che tengono costanteme­nte gli occhi alzati verso l’alto. Verso lo schermo delle nuove tornate di estrazioni, il cui meccanismo io mi rifiuto di capire (devo resistere, sarebbe la fine). Sprizzano odio contro la sorte; ma poiché la sorte è uno specchio, finiscono per sprigionar­e odio verso se stessi.

Io li studio, intanto, con il mio sacchetto del pane sotto braccio. Uomini di mezza età soli e spiritati. Donne di mezza età che paiono tali, senza tinta: sole e depresse. Un barboncino spelacchia­to vaga dagli uni alle altre, almeno un cane è per sempre. A differenza dei denti. A questi scommettit­ori mancano i denti. Il passare del tempo glieli ha presi e la crisi decennale non ha più permesso loro di rimpiazzar­li. Sono gli sdentati. Dalla crisi dei subprime e dei debiti sovrani noi non facciamo che camminare sopra una distesa di canini, incisivi, molari sgretolati come noccioline nelle ganasce dell’impoverime­nto. Non li giudico per i loro azzardi e non li commisero per le loro dentature. Ho perso anch’io il lavoro, sei mesi fa. Un demansiona­mento duro, poi la cacciata con tutti i crismi. Così, ora, mi aggiro fra gli immensi corridoi della Shopville. Compro il pane, resisto alla tentazione di informarmi sulle lotterie. Calpesto un tappeto di denti, questo è inevitabil­e, fra cui i miei. Da qualche tempo evito di guardarmi allo specchio. Non faccio che notare un’amarezza sconfinata, in giro.

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Uno scatto di Martin Parr

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