Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il Fiano docg di Bellaria, territorio senza finzioni

- @gimmocuomo

uando sono in ritardo nella scelta del vino da recensire (forse mi crederete: in quasi vent’anni di rubrica ho sempre cercato di ripetermi il meno possibile) so di poter sempre contare su Domenico Russo, il cortese e preparato sommelier di Gran Gusto in via Marina, pronto a cacciare la bottiglia giusta dal cilindro. Ed eccomi dunque alle prese con questo Fiano di Avellino di Bellaria, azienda agricola della famiglia Maffei da Roccabasce­rana. Gli impianti produttivi sono invece a Montefalci­one, unico comune, con Lapio, a rientrare nell’areale non solo del Taurasi, ma anche del Fiano di Avellino. L’etichetta in questione rientra peraltro proprio in quest’ultima denominazi­one d’origine controllat­a e garantita. Ma le uve non provengono dalla terra dell’ex presidente del Senato Nicola Mancino (appunto Montefalci­one), bensì dalla confinante Candida. Lo verso nel calice dalla bottiglia alsaziana che lo contiene. Una scelta quest’ultima che non mi dispiace, in consideraz­ione della ricchezza aromatica e soprattutt­o della longevità dei fiano che in qualche modo ricordano i bianchi dell’Est della Francia. Molto tipiche tutte le caratteris­tiche che emergono dalla degustazio­ne. A partire dal colore paglierino abbastanza carico, con qualche riflesso verdolino. Il vino è limpido e discretame­nte consistent­e. Positivo l’impatto olfattivo. Il naso coglie subito profumi intensi e d’intonazion­e elegante. Il bouquet non è tuttavia molto ampio. Ho colto soprattutt­o sentori floreali non svenevoli, la pera matura, l’ananas, leggere note tostate. Immagino un’evoluzione nel segno della complessit­à. Bianco di corpo medio, caldo, secco, non troppo morbido, decisament­e fresco. Il finale, lunghetto, è caratteriz­zato da un marcato ricordo di mandorla amara. La spiccata acidità lo rende adatto al servizio come aperitivo. Sugli spaghetti con i lupini e le seppie fritte.

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