Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Nasan Tur, un turco napoletano Casamadre a
«Sono nato in Germania ma qui nella città onesta, mi sento a casa»
Nato nel 1974 ad Offenbach in Germania, residente oggi a Berlino ma di famiglia e background turco, Nasan Tur è uno di quegli artisti (e intellettuali) dall’identità complessa. Eppure, in una pausa del montaggio della mostra che inaugura stasera alle 19 negli spazi di Casamadre in Piazza dei Martiri, sollecitato da una domanda su quale aspetto predominasse nel suo modo di essere, sorprende tutti: «Cosa mi sento di più? Direi napoletano, e non perché ora mi trovi qui. Dopo il mio primo arrivo in questa città nel 2014 per una mostra al Pio Monte ispirato alle opere di Misericordia, ho trovato subito una grande sintonia con questa gente, e con me mia moglie, nata in Germania, ma a sua volta di origini siciliane. Da allora ci sono ritornato più volte e questa idea mi si è rafforzata via via a partire soprattutto da un dato: l’onestà. Sì, onestà, intesa come sincerità, immediatezza, assenza di formalismi e di ipocrisie. Se qui qualcuno sta bene ed è felice te lo trasmette subito, cosa che accade anche al contrario, in presenza di difficoltà o malesseri, che non vengono mai occultati ma presentati per quello che sono. Ecco questo a me piace molto, anche perché è esattamente ciò che cerco di fare ogni giorno nel mio lavoro di artista. Poi sarebbe facile rispondere anche che Napoli è geograficamente e culturalmente un punto di equilibrio fra Ocnon cidente e Mediorente, incarnando così quella contaminazione che mi appartiene nel profondo».
E che nel ciclo presentato nella galleria di Eduardo Cicelyn si riafferma in un robusto filo rosso che attraversa tutta la mostra dal punto di vista «politico», nel senso più alto del termine, a fronte di un’arte che per decenni ha talvolta preferito l’autoreferenzialità dei linguaggi alla chiarezza delle idee sbattute in faccia all’osservatore di turno. E che qui troverà certo una continuità stilistica, anzi verrebbe da dire che ciascun lavoro potrebbe portare una firma diversa, se non si analizzassero le inequivocabili contiguità di senso che legano i pezzi esposti. Ovvero l’idea di una concettualità tutta tesa ad affermare la necessità di un ribaltamento dei poteri attuali, di una difesa ed allargamento della democrazia, di una risposta epocale ad una fase che sta mutando profondamente i connotati stessi dei nostri stati così come li abbiamo conosciuti sin qui.
«Possiamo dire – spiega infatti Tur — che le tante migrazioni degli ultimi anni restituiscano un’Italia, una Germania, una Francia uguale a quella di alcuni decenni fa? E i confini attuali, inesistenti nei secoli scorsi, avranno ancora un senso o ci porteranno piuttosto verso nuove configurazioni territoriali e culturali?». Interrogativi di non poco conto ai quali per ora l’artista risponde con le opere, a partire da una serie di tavole in legno su cui è stata intagliata una frase al contrario pronta ad essere impressa come una comune xilografia. Due quelle esposte a Napoli: «Violence is necessary» o «Poverty is weakness», ovvero la violenza è necessaria e la povertà è debolezza, espressioni forti che però non rappresentano il pensiero di Tur. «Ho cercato di riprodurre i pensieri dominanti fra la gente oggi, lasciando liberi gli eventuali acquirenti di stamparli o meno come un memento».
E poi la foto in cui lo stesso artista è immortalato mentre bomboletta su un muro la frase «Time for Revolussion».
«C’è evidentemente un errore di scrittura – commenta - che può anche rimandare al doppio significato di rivoluzione e illusione, un’opera che in Turchia non mi farebbero mai esporre». E di fronte un’istallazione altrettanto militante, «Demo Kits Deluxe», ovvero una sequenza di aste con bandiere e striscioni arrotolati di vari colori, simili a quelli usati nelle manifestazioni con annesse bombolette spray pronte all’uso. E ancora «Agony Fawn Eagle Owl», ovvero una scenetta di animali imbalsamati che vedono sistematicamente quello più aggressivo sovrastato dal più debole, come in questo caso col cerbiatto che aggredisce una grande gufo rapace, con evidenti rimandi metaforici. Molto interessante, sempre riferito al tema della violenza, è il video «First Shot» che riprende in slow motion una serie di persone normali, donne, giovani, anziani, alle prese per la prima volta con l’esplosione di un colpo di pistola, un atto che cancellerà per sempre la loro verginità nell’uso di un’arma da fuoco. Infine un soldatino, di quelli fatti in Germania negli anni ’40, raffiguranti personalità naziste o fasciste (qui c’è Mussolini) il cui braccio, ora rotto, poteva ruotare in alto mostrando la mano tesa del saluto romano, «giocattoli – conclude Tur - che non vorremmo vedere mai più».