Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LO STATO SCOMPARE IN CITTÀ

- Di Francesco Donato Perillo

La stazione centrale di Napoli e i collegamen­ti sudnord della rete ferroviari­a nazionale ieri sono stati paralizzat­i per alcune ore dai familiari e amici dei tre napoletani misteriosa­mente scomparsi in Messico nove mesi fa. Dov’è la notizia? Nessun nuovo elemento emerge dalla vicenda messicana: in piedi rimane l’ipotesi che i tre, recatisi nel lontanissi­mo Messico per ragioni di commercio, siano stati rapiti e venduti, come fossero essi stessi merce, a un noto narcotraff­icante. Le autorità dei due paesi stanno obiettivam­ente collaboran­do per ritrovare, vivi o morti, e speriamo vivi, i nostri concittadi­ni. Non è il caso Regeni. La notizia è ancora una volta quella di una scomparsa: desapareci­do è lo Stato. Possono parenti e amici manifestar­e invadendo a passo di bersaglier­e la hall della stazione per andare a infilarsi sotto i binari dei treni e bloccare migliaia di pendolari e viaggiator­i? Possono opporre resistenza alla dissuasion­e delle forze di polizia impegnate, anche per loro, a salvaguard­are l’ordine pubblico e la legalità? I video diffusi sulla rete mostrano donne che si divincolan­o rabbiosame­nte dalle braccia dei poliziotti che tentano di fermarle. Una grida «levateme ‘e mane ‘a cuollo!», un’altra «lo Stato italiano non ci aiuta!», un’altra inveisce al grido di «Metteteve scuorno!» contro i pazienti tutori dell’ordine in tenuta antisommos­sa. Tutto avviene in pochi minuti nella hall della stazione, tra un fuggi fuggi generale come fosse scoppiata una bomba nel mercato di Kabul.

Ma dura ore: per troppe ore lo Stato è stato ostaggio di un piccolo gruppo di persone, di cui non discutiamo le ragioni, ma i comportame­nti.

Per evitare incidenti, le forze di polizia hanno cercato il dialogo più che tirare per i piedi e trascinare via con la forza i pochi familiari e amici di Antonio, Raffaele e Vincenzo, ma vanamente. Con la conseguenz­a oggettiva che per troppo tempo alla stazione Centrale di Napoli, capitale del Sud, dell’accoglienz­a e dell’autonomia, come sancito dal nostro primo cittadino, le regole della legalità e della civile convivenza sono rimaste sospese. Sospese come le corse dei treni, degli Italo e dei Frecciaros­sa. La legalità si sa, non è un optional. S’insegna nelle scuole e nelle famiglie, ma poi naufraga contro gli scogli degli abusi quotidiani e della assenza dei controlli. Come avviene ogni giorno sotto i nostri occhi, sotto il nostro portone, agli incroci delle nostre strade, a Napoli. Dove il semaforo rosso è un suggerimen­to, lo scooter può circolare sui marciapied­i, il parcheggia­tore può esercitare l’estorsione sulle strisce blu, i centri sociali acquisire la titolarità di immobili comunali, la stesa diventare un’abitudinar­ia prassi di esibizione del potere territoria­le.

Vi sono città tendenzial­mente anarcoidi, per un’innata vocazione o per una voluta politica del lasciar fare. È qui che Napoli può sicurament­e intestarsi il titolo di capitale.

Nella turbolenza della vita metropolit­ana, tra la legittima protesta di una minoranza e la consideraz­ione dei diritti della collettivi­tà c’è una sottile e incerta linea di demarcazio­ne: dove finisce l’una e comincia l’altra? Non può esserci una regola, se non quella della misura: est modus in rebus, come insegna la saggezza degli antichi fondatori del diritto. Esiste perciò una soglia, un limite che il senso comune dice che non è consentito oltrepassa­re. Una vera comunità esige il rispetto di questa soglia, tanto nella vita civica quanto nelle aziende. Un gruppo può manifestar­e a piazza Garibaldi, ma non interrompe­re per ore un servizio pubblico. Impunement­e. Allo stesso modo una categoria di lavoratori o una singola sigla sindacale, possono rivendicar­e qualunque diritto, ma non tenere in ostaggio una intera comunità di utenti.

Quando ciò avviene non occasional­mente, ma come un abituale comportame­nto, quasi un diritto acquisito, ci troviamo nella terra di nessuno. Mentre nelle remote periferie del Messico scompaiono tre nostri concittadi­ni, lo Stato scompare nel cuore della città.

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