Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Palazzo Zevallos, irrompono gli Young British Artists
Da un lato le note degli Oasis e del brit pop dei Blur, in un confronto di atmosfere rock fra Manchester e Londra. Dall’altra la moda, che trova la sua nuova icona in Kate Moss erede dei fasti di Twiggy e Mary Quant, e il teatro che grazie all’impietosa autoanalisi esistenziale di Sarah Kane o allo sguardo sulle nuove identità di Mark Ravenhill offre uno spaccato di aspra verità sulla gioventù inglese post-punk. E in mezzo le arti visive con la generazione dell’acronimo Yba, Young British Artists, che ben definisce la nuova energia dei nipotini della Swingin’ London degli anni ’60. Parte da qui l’idea della mostra «London hadow», la rivoluzione inglese da Gilbert & George a Damien Hirst, inaugurata ieri a Palazzo Zevallos Stigliano, al suono delle note d’epoca passate dal dj set di Giorgio Valletta. Siamo infatti negli anni ’90 e Damien Hirst, l’inquietante sezionatore di animali in formaldeide, nonché capofila di una folta schiera di artisti cresciuti al Goldsmith College, riconosce i suoi riferimenti in Francis Bacon e Gilbert & George. Non a caso il curatore Luca Beatrice è partito proprio da due opere dell’inscindibile duo di trasgressivi dandy britannici, una delle quali dà il titolo alla mostra. «Un riconoscimento – spiega Beatrice - anche allo stretto legame, che già come nel ciclo dedicato sempre qui a New York e agli anni ‘80, sottolinea lo stretto legame fra queste realtà di punta dell’arte contemporanea e la città di Napoli, dal solido rapporto di G&G con la galleria di Alfonso Artiaco, passando per l’esperienza di Hirst che realizzò il suo primo grande ciclo pubblico italiano proprio qui al Museo Archeologico, così come la sua prima mostra «privata» alla Theoretical Events di Massimo Lauro. Un link poi consolidato anche dai rapporti degli altri artisti del gruppo con galleristi come Raucci e Santamaria o Scognamiglio, che hanno creato un’attenzione particolare del collezionismo partenopeo per le loro opere». Fra le quali oltre a quelle inviate personalmente per l’occasione da Hirst, come la bacheca di medicine intitolata «Problems», da segnalare anche la pittura a fasce astratta di Jason Martin, le strisce di colore verticale di Ian Davenport, i grandi fiori super pop di Marc Quinn e la manipolazione digitale di Julian Opie. Grande suggestione poi anche nell’angolo concettuale di Marc Quinn con il suo «Aspettando Godot», con uno scheletro inginocchiato e pregante, ancora in attesa del mai giunto protagonista dell’opera di Beckett, o di Mat Collishaw con il suo «Ophelia» in marmo e vetro che rimanda al dipinto preraffaellita sul celebre personaggio shakespeariano. Visitabile fino al 20 gennaio.