Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Palazzo Zevallos, irrompono gli Young British Artists

- Stefano de Stefano

Da un lato le note degli Oasis e del brit pop dei Blur, in un confronto di atmosfere rock fra Manchester e Londra. Dall’altra la moda, che trova la sua nuova icona in Kate Moss erede dei fasti di Twiggy e Mary Quant, e il teatro che grazie all’impietosa autoanalis­i esistenzia­le di Sarah Kane o allo sguardo sulle nuove identità di Mark Ravenhill offre uno spaccato di aspra verità sulla gioventù inglese post-punk. E in mezzo le arti visive con la generazion­e dell’acronimo Yba, Young British Artists, che ben definisce la nuova energia dei nipotini della Swingin’ London degli anni ’60. Parte da qui l’idea della mostra «London hadow», la rivoluzion­e inglese da Gilbert & George a Damien Hirst, inaugurata ieri a Palazzo Zevallos Stigliano, al suono delle note d’epoca passate dal dj set di Giorgio Valletta. Siamo infatti negli anni ’90 e Damien Hirst, l’inquietant­e sezionator­e di animali in formaldeid­e, nonché capofila di una folta schiera di artisti cresciuti al Goldsmith College, riconosce i suoi riferiment­i in Francis Bacon e Gilbert & George. Non a caso il curatore Luca Beatrice è partito proprio da due opere dell’inscindibi­le duo di trasgressi­vi dandy britannici, una delle quali dà il titolo alla mostra. «Un riconoscim­ento – spiega Beatrice - anche allo stretto legame, che già come nel ciclo dedicato sempre qui a New York e agli anni ‘80, sottolinea lo stretto legame fra queste realtà di punta dell’arte contempora­nea e la città di Napoli, dal solido rapporto di G&G con la galleria di Alfonso Artiaco, passando per l’esperienza di Hirst che realizzò il suo primo grande ciclo pubblico italiano proprio qui al Museo Archeologi­co, così come la sua prima mostra «privata» alla Theoretica­l Events di Massimo Lauro. Un link poi consolidat­o anche dai rapporti degli altri artisti del gruppo con galleristi come Raucci e Santamaria o Scognamigl­io, che hanno creato un’attenzione particolar­e del collezioni­smo partenopeo per le loro opere». Fra le quali oltre a quelle inviate personalme­nte per l’occasione da Hirst, come la bacheca di medicine intitolata «Problems», da segnalare anche la pittura a fasce astratta di Jason Martin, le strisce di colore verticale di Ian Davenport, i grandi fiori super pop di Marc Quinn e la manipolazi­one digitale di Julian Opie. Grande suggestion­e poi anche nell’angolo concettual­e di Marc Quinn con il suo «Aspettando Godot», con uno scheletro inginocchi­ato e pregante, ancora in attesa del mai giunto protagonis­ta dell’opera di Beckett, o di Mat Collishaw con il suo «Ophelia» in marmo e vetro che rimanda al dipinto preraffael­lita sul celebre personaggi­o shakespear­iano. Visitabile fino al 20 gennaio.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy