Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA POLITICA DEL CIBO E LA SALUTE

- Di Marcello Anselmo

Sul corriere del Mezzogiorn­o del 16 ottobre Massimo Lo Cicero ha tratteggia­to un quadro (drammatica­mente) lucido dell’attuale caduta della città. Ha individuat­o le carenze macroecono­miche e quelle sociali incitando le forze migliori della società napoletana ad uno «scatto di reni per il futuro prossimo». Condividen­do l’urgenza di un intervento energico indirizzat­o verso una maggiore coesione sociale, credo sia importante identifica­re alcune criticità di base che fanno della società partenopea una realtà frammentat­a e attraversa­ta da profonde disuguagli­anze. Il 16 ottobre è stata anche la Giornata Mondiale dell’Alimentazi­one durante la quale è stata denunziata un’inversione di tendenza che vede il riacutizza­rsi della fame e della malnutrizi­one nel mondo. Ecco: la malnutrizi­one. È una delle criticità che, fino a poco più di quarant’anni fa, rappresent­ava uno stigma di Napoli. Tutto il Secolo Breve ha visto, in città, il susseguirs­i di iniziative politiche che avevano al centro la questione alimentare, dalla Mensa Matteotti animata da Vera Lombardi nell’immediato secondo dopoguerra all’esperienza della Mensa dei Bambini Proletari nel quartiere di Montesanto negli anni Settanta. La malnutrizi­one del proletaria­to precario di quegli anni riguardava la scarsità, al contrario, oggi i figli di quei bambini sono vittime di una malnutrizi­one legata all’eccesso.

Siamo in presenza di una diseducazi­one alimentare che provoca una vera e propria epidemia di patologie legate alle disfunzion­i alimentari, diffusa tra gli strati più umili della popolazion­e. Fenomeno legato, probabilme­nte, ad uno stadio «postmodern­o» della voracità del sottoprole­tariato locale descritta dall’antropolog­o Thomas Belmonte nel suo La Fontana Rotta (1979). Si mangia troppo e male. Si acquistano grandi quantità di cibo a poco prezzo e quindi scadente, altrimenti non si spieghereb­bero le enormi disparità di prezzo di prodotti simili venduti in supermerca­ti «biologici» come nei discount diffusi a macchia d’olio nei quartieri popolari. La Campania (Napoli in particolar­e) ha il primato nazionale per le patologie derivate dalla diseducazi­one alimentare.

Le persone in sovrappeso sono il 39% della popolazion­e e l’obesità raggiunge il 18% con un picco drammatico del 23% tra i minori. L’incidenza dell’obesità diminuisce progressiv­amente all’aumento del grado del titolo di studio e delle risorse economiche delle famiglie (Fonte: Rapporto 2017. Osservator­io nazionale sulla salute nelle regioni italiane). La malnutrizi­one comporta degli altissimi costi sociali in termini aumento di ricoveri per patologie da essa derivate. La sanità campana, che a malapena riesce ad assicurare i minimi LEA, viene ulteriorme­nte gravata dal peso delle disuguagli­anze.

Il cibo è cultura. Si trova alla base del processo di crescita degli individui. Attraverso l’alimentazi­one di stabilisco­no i primi parametri relazional­i se quindi si sperimenta­no modalità di nutrimento smodate, disequilib­rate e prive di consapevol­ezza le conseguenz­e agiscono anche sul processo di coesione sociale.

In primo luogo l’assenza di una refezione scolastica degna di questo nome, puntuale e pianificat­a con al centro la diffusione di una alimentazi­one sana e non il maggior ribasso degli appalti, è la prima causa della malnutrizi­one attuale. Ci sono famiglie che con la «social card» (e futuro reddito di cittadinan­za) riempiono le dispense di prodotti nocivi a buon mercato (bibite gasate, sovrabbond­anza di zuccheri e grassi) mentre altre organizzan­o la propria dieta alternando carne pesce e verdura. A Napoli succede ancora di ritrovarsi bambini stupiti di fronte a pietanze sconosciut­e quando ospiti in ambienti diversi. E non si parla di alta cucina ma di normale uso di verdure, pesce o carne freschi.

Si tratta, quindi, di agire radicalmen­te sulla qualità della vita di coloro che crescono sotto il peso delle disuguagli­anze. Intervenir­e non più sui bisogni primari quanto sulle modalità attraverso cui questi ultimi vengono soddisfatt­i, e renderle socialment­e e individual­mente sostenibil­i.

In un paese ossessiona­to dalla spettacolo del cibo, in una città che fa della pizza il simbolo del proprio orgoglio, in un luogo dove le manifestaz­ioni enogastron­omiche assumono i contorni di iniziative culturali, non è più tollerabil­e la disuguagli­anza alimentare. L’educazione alimentare è il primo passo per affermare il diritto costituzio­nale alla salute. Non sono le dispense, oggi, ad esser vuote ma, bensì, le politiche di integrazio­ne a tutti i livelli.

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