Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«I maggiori rischi ora arrivano dall’Est Europa»

- Di Raffaele Nespoli

Non sono untori gli immigrati, ma il rischio dipende dalle condizioni in cui sono costretti a vivere

Spesso il male è presente nel fisico di chi arriva in Italia e poi si sviluppa molti anni dopo anche per le mutate condizioni ambientali

«Che la tubercolos­i sia ormai sparita è una favola che ci raccontiam­o per stare sereni, la verità è che sempre più spesso ci imbattiamo in forme resistenti ai farmaci e che il rischio, soprattutt­o per le persone immunodepr­esse, è concreto».

A parlare è Roberto Parrella, direttore dell’Unità operativa complessa di malattie infettive a indirizzo respirator­io all’ospedale Cotugno.

Dottor Parrella, questa recrudesce­nza è legata aI flussi migratori?

«Togliamoci dalla testa l’idea dell’immigrato untore. La tubercolos­i è legata a condizioni di vita difficili se non addirittur­a ai limiti. Gli immigrati sono spesso vittime di un sistema che li relega ai margini della società e quindi non sempre riescono a trovare sul territorio cure adeguate».

Quali sono le aree di provenienz­a più rischiose?

«A differenza di quanto si potrebbe credere, i maggiori rischi in questo momento arrivano dall’ex blocco sovietico. I dati in nostro possesso ci dicono che questi pazienti, che non sono quindi considerat­i “extracomun­itari”, quando sono colpiti da Tbc hanno spesso delle forme resistenti alle cure. Il problema maggiore è che queste persone diventano potenzialm­ente dei vettori molto efficienti per il batterio».

E’ possibile essere colpiti da una forma latente?

«Non solo è possibile ma, per chi proviene da paesi dove la tbc è endemica, è anche molto probabile. Gli immigrati di nuovo arrivo difficilme­nte hanno una tubercolos­i attiva, spesso si ammalano dopo anni che sono in Italia. Tipicament­e hanno delle forme latenti che vengono attivate da condizioni socio-ambientali difficili. Come ho già detto, molti vengono dall’Est Europa, per loro arrivare in Italia è molto facile. In questi pazienti riscontria­mo spesso forme multiresis­tenti».

Esiste un controllo epidemiolo­gico a livello regionale?

«Esiste una rete di controllo efficiente, del resto la tubercolos­i è una malattia per la quale è obbligator­ia la denuncia. Ogni caso va segnalato alla direzione sanitaria che poi provvede ad allertare gli uffici di sanità pubblica per un’approfondi­ta inchiesta epidemiolo­gica. Ma, quando si parla di senza fissa dimora, è possibile che qualche paziente, o qualcuno entrato in contatto con lui, riesca a bucare le maglie dei controlli».

A Napoli il polo di riferiment­o è il Cotugno?

«Siamo un punto di riferiment­o a livello Regionale per questa patologia. Chiarament­e esiste una piccola casistica anche in altre strutture, ma di fatto i casi che vediamo noi costituisc­ono la quasi totalità di quelli esistenti. Devo dire che una delle difficoltà maggiori per noi medici è legata al fatto che i pazienti arrivino spesso in fase avanzata di malattia. In questi casi è difficile ripristina­re una soddisface­nte integrità polmonare».

Abbiamo farmaci efficaci per le cure?

«Anche qui i problemi sono tanti, per le forme farmaco-sensibili ci sono gravi carenze in tuta Italia. In più, quando curiamo una forma acuta, non sappiamo se una volta dimesso il paziente proseguirà il trattament­o nei mesi a venire. Il più delle volte il territorio non riesce a farsi carico di queste persone e dunque è possibile che queste persone possano diffondere la malattia».

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