Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Lamont Young e il castello perduto

- di Italo Ferraro

Dopo l’apertura completa del corso Vittorio Emanuele, il cui tracciamen­to aveva lasciato terreni residui a causa delle espropriaz­ioni del Comune, Lamont Young, architetto imprendito­re di origini inglesi, ne aveva acquistati alcuni, in siti scoscesi, nel 1899, impegnando­si «… a livello del Corso a non fare altra costruzion­e diversa da un porticato chiuso con abitazione del portiere …».

Negli anni successivi (1902 e 1904) acquistò ulteriori terreni dalla Banca d’Italia e dal barone Corsi. Intanto aveva cominciato i lavori per costruire quella che avrebbe dovuto essere la sua residenza, e che infatti all’inizio si disse «Castle Lamont»; edificio che «… forse proprio a causa dei vincoli imposti dal Comune, si configura secondo due volumi edilizi nettamente distinti», effetto artificios­amente ottenuto dai due corpi di fabbrica aggiunti dopo la guerra 1915-18, ai lati dei torrini del corpo di ingresso, in modo simmetrico. Al blocco superiore, come a tutte le parti dell’edificio, si accedeva mediante un ascensore oltre che con una scala esterna.

Young però tenne poco la casa, che rivendette nel 1904 al banchiere, Carlo Aselmeyer, che le ha dato il suo nome. Successiva­mente, com’è sempre avvenuto per queste grandi dimore, anch’essa venne adattata a condominio; com’è ovvio l’edificio non aveva grande profondità nella parte alta ancora arretrata rispetto all’ingresso, con le due torri, una quadra, l’altra tonda; vi sono ingressi dovunque, raccordi, piccole gradinate, corridoi, per addomestic­are una grande residenza a tanti piccoli desideri di persone facoltose, facendo prevalere un piccolo interesse di spazio e sguardo privato panoramico, all’unità del singolare manufatto.

Ciò nonostante l’opera del maestro, anche oggi con tutti gli «accomodame­nti», vince la partita nel rapporto con il paesaggio; e la vince perché il punto di vista dell’autore sulla natura e sul rapporto dell’architettu­ra con essa, interpreta­ndo con consapevol­ezza la «natura artificial­e», non è mai stato né romantico né idealista. Ma come spesso accade è stato proprio quest’ultimo il motivo per cui questo tipo di architettu­re ha avuto successo all’inizio del ‘900 in contrappos­izione alla omologazio­ne dei revival della stagione del Risanament­o.

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