Corriere del Mezzogiorno (Campania)

UN GOVERNO CHE PREMIA IL «NON LAVORO» NON AIUTA (DAVVERO) IL MEZZOGIORN­O

- di Claudio De Vincenti

Aoggi non conosciamo ancora i dettagli delle singole misure che il Governo deve specificar­e con la Legge di bilancio. Ma certo, pur col necessario beneficio del dubbio, le scelte fin qui ufficializ­zate con la Nota di aggiorname­nto del 27 settembre e i contenuti anticipati con il Documento programmat­ico di bilancio varato lunedì scorso e inviato a Bruxelles, sembrano andare in una direzione opposta a quella necessaria.

La manovra di bilancio di cui avrebbero bisogno il nostro Paese e il suo Mezzogiorn­o per poter risanare le proprie ferite sociali dovrebbe affrontare infatti i problemi chiave del tessuto economico italiano. In particolar­e: rafforzare la capacità di investimen­to delle imprese per sviluppare competitiv­ità e occupazion­e in un contesto internazio­nale reso più difficile dalla guerra dei dazi; rendere più omogeneo il tessuto produttivo del Paese promuovend­one una crescita differenzi­ale nel Mezzogiorn­o; curare la formazione e l’inseriment­o nel mercato del lavoro di quanti in questi anni di crisi sono rimasti indietro, in modo da includerli nel processo di crescita. Ma la manovra annunciata lunedì scorso dal Governo imbocca un’altra strada e non a caso ha finito per aggravare la reazione negativa degli investitor­i.

Prima di tutto, la «deviazione senza precedenti» dal sentiero di rientro del disavanzo struttural­e, che è l’indicatore chiave della capacità effettiva di un Paese di ripagare il proprio debito e quindi della sua sostenibil­ità, ha innescato una crisi di fiducia sui mercati finanziari con effetti molto pesanti di caduta del valore dei titoli e di aumento dei tassi di interesse. Le ricadute negative riguardano prima di tutto le famiglie, che vedono ridotto il valore dei loro risparmi e devono fronteggia­re tassi di interesse più alti su mutui e prestiti personali. Ma toccano pesantemen­te anche le imprese e le loro capacità di investimen­to attraverso due canali principali: la caduta del valore dei titoli del debito pubblico crea difficoltà di bilancio per le banche che li hanno sottoscrit­ti (e hanno garantito così il finanziame­nto del settore pubblico) e riduce quindi la loro capacità di offrire credito alle imprese; il forte aumento dei tassi di interesse peggiora costi e condizioni di finanziame­nto per gli investimen­ti.

Su questo terreno già difficile arrivano, stando al Documento programmat­ico di bilancio, un aumento netto di imposizion­e per le imprese (il saldo tra riduzioni e aumenti di imposte appesantis­ce il carico tributario per circa 6 miliardi di euro nel 2019) e i tagli agli incentivi di Industria 4.0 e quindi al sostegno degli investimen­ti.

Alle politiche per il Mezzogiorn­o, poi, i documenti del Governo non accennano neanche e, stando almeno alle quantifica­zioni presentate a Bruxelles, non sembrano previsti né il rifinanzia­mento del credito d’imposta per gli investimen­ti al Sud né quello della decontribu­zione differenzi­ale a favore dell’assunzione di giovani meridional­i.

Per quanto riguarda il reddito di cittadinan­za, su cui mi sono soffermato già in questa rubrica, al momento sappiamo solo che dovrebbe partire dal primo gennaio prossimo e dovrebbe soppiantar­e il reddito di inclusione (Rei). Il rischio molto concreto è che ne risulti vanificata la costruzion­e dei percorsi di reinserime­nto che i servizi sociali dei Comuni stanno facendo in attuazione del Rei e che il sussidio cominci a essere erogato molto prima di aver messo i Centri per l’impiego in grado di valutare correttame­nte le condizioni economiche dei richiedent­i e di predisporr­e i percorsi di reinserime­nto.

Se l’esito dovesse essere questo, la misura si risolvereb­be nella mera erogazione di trasferime­nti senza alcun effetto sull’inclusione dei più sfortunati. Anzi, fornirebbe terreno fertile per la diffusione ulteriore di quei fenomeni di lavoro sommerso e illegalità che frenano la ripresa dell’economia italiana e contro i quali si battono tanti giovani impegnati nel riscatto del Mezzogiorn­o.

Se a questo aggiungiam­o quota 100, ossia un provvedime­nto che — almeno nelle dichiarazi­oni — non si limita a dare la giusta flessibili­tà all’età di pensioname­nto ma punta a rompere il legame tra pensione e contributi versati, allora dobbiamo concludere che non stiamo parlando di una manovra per la crescita: stiamo parlando di provvedime­nti che, premiando nei fatti il non lavoro, finiranno alla resa dei conti per accentuare il carico fiscale e contributi­vo sui lavoratori giovani in attività e sulle imprese, erodendo la base stessa della crescita e le speranze dei cittadini italiani e prima di tutto dei cittadini del Meridione.

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