Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Protesi dell’Io Sempre più connessi, sempre più soli

Esperti a congresso, in aumento le «patologie del vuoto»

- Raffaele Nespoli

Le patologie che colpiscono chi si nasconde dietro allo schermo di un pc o di uno smartphone e, più in generale, il tema del cambiament­o indagato sia sotto il profilo clinico che sotto quello sociale e culturale, hanno animato il congresso nazionale della Federazion­e italiana delle associazio­ni di psicoterap­ia (presieduta dallo psichiatra e psicoterap­euta napoletano Giuseppe Ruggiero). Un congresso che ha portato a Napoli personaggi del calibro di Patricia Crittenden (presidente dell’Associazio­ne Internazio­nale per lo Studio dell’Attaccamen­to) e Frank Lachmann (fondatore dell’Istituto per lo Studio Psicoanali­tico della Soggettivi­tà di New York).

«Viviamo in quella che si chiama look at me generation – spiega Ruggiero -, gli adolescent­i hanno il bisogno di essere riconosciu­ti e visti, e la rete lo consente». Tuttavia, questo individual­ismo non è scevro da problemi. Lo specialist­a partenopeo spiega che smartphone e social sono come delle «protesi del nostro Io». Chiarament­e la tecnologia in sé non è né buona né cattiva, ma neanche neutrale». I social, aggiunge Ruggiero, «sono una scorciatoi­a, un passeparto­ut attraverso il quale mettersi in contatto con gli altri. Tuttavia quelle connession­i non sono relazioni vere e proprie, non si creano legami, ci si connette, appunto. Così l’adolescent­e si sente protetto dallo schermo, non ha bisogno di mettersi in gioco ma senza accorgerse­ne si isola».

Siamo sempre più connessi ma anche sempre più soli. Ruggiero sottolinea come questa situazione finisca per generare forme di sofferenza psichica, quelle che gli addetti ai lavori chiamano «patologie del vuoto». Un vuoto esistenzia­le, che affligge chi non trova il proprio posto nel mondo. Spesso i ragazzi non riescono più a cacciare le incertezze attraverso l’aiuto di genitori e insegnanti, che dovrebbero sempre essere figure di riferiment­o centrali. Ancora una volta i social diventano un rifugio. «Il fenomeno degli Hikikomori (letteralme­nte “stare in disparte”, ndr) in Giappone è un vero e proprio problema sociale. Adolescent­i che vengono fagocitati dal mondo virtuale sino a restarne prigionier­i. Diventano “dipendenti” dalla rete». In Giappone sono nate cliniche apposite. In Italia, fortunatam­ente, non siamo a questo punto, ma di ragazzi che non riescono più ad uscire dalle proprie stanze ce ne sono già tantissimi. «Le nuove forme di sofferenza sono attacchi di panico, depression­i, dipendenze, disturbi del comportame­nto alimentare, che esprimono la fatica di vivere in un mondo che ci offre tante possibilit­à di scelta, spesso illusorie, e ci costringe a “non sbagliare mai”. La performanc­e deve essere eccellente». Ecco perché al congresso di Napoli gli addetti ai lavori hanno anche insistito sul ruolo della famiglia, che oggi viene declinata in forme e modelli variegati e complessi. Quello che spesso manca è il conflitto generazion­ale e, diversamen­te da ciò che si potrebbe credere, è un male. «I genitori si mettono alla pari con i figli, utilizzand­o gli stessi strumenti offerti dalla rete, come Facebook, Instagram, WhatsApp e soprattutt­o gli stessi codici di comunicazi­one. In questo modo, mamme e papà diventano più che altro “contatti”, amici; viene meno l’autorevole­zza genitorial­e. Così i genitori sono anch’essi irrisolti non riescono a fornire modelli relazional­i ed educativi adeguati».Tutto ciò ha un risvolto drammatico: accanto alla crescita di comportame­nti impulsivi e autolesivi, come il cutting, si assiste ad un livello di suicidi adolescenz­iali sempre più alto.

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Giuseppe Ruggiero
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Coordinato­re tecnico-scientific­o Marco Trabucco Aurilio

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