Corriere del Mezzogiorno (Campania)
SE LA PIOGGIA NON BAGNA LA BUROCRAZIA
Ha una dimensione esistenziale, e quasi escatologica, il grido di dolore di Luigi de Magistris di fronte alla mancata calamità del giorno dopo: «Non si riesce a prevedere nulla!». E chi ci riesce, in fondo, nella vita? Forse non brancoliamo tutti come gattini ciechi nel bailamme di impulsi contraddittori, allarmi e rassicurazioni, notizie e smentite nella dannata Rete che schiaccia nell’istante ogni nostra azione e reazione? Quando ti servirebbe Tiresia, devi arrangiarti al più con un cinico burocrate del servizio meteo che sogghigna «manda ‘a sfugliatella al sindaco e poi si vede!», divulgando avvisi di sciagura con un semplice clic e buonanotte. Dunque, ditelo voi, cosa dovrebbe fare un povero primo cittadino che s’aspetta Armageddon e poi si ritrova a malapena quattro schizzi di pioggia sul trench, beffardi come una pernacchia? La strana giornata di vacanza degli studenti napoletani, lasciati a casa da de Magistris per un principio di prudenza che, col facile senno di poi, diventa eccesso di precauzione sino a generare se non una calamità intera una mezza calamità per famiglie e lavoratori, turni d’ufficio scombinati e ritmi saltati nel caos, si presta tuttavia a qualcosa di più d’una battuta e d’una polemica (del resto nelle stesse ore in cui de Magistris imprigionava inutilmente Napoli nella sua arca, la Roma di Virginia Raggi affogava sotto le bombe d’acqua): perché il caso tira in ballo la fiducia reciproca e il timore dell’altro.
Scrive il sociologo Gérald Bronner ne «La democrazia dei creduloni» che ogni ordine sociale per esistere ha bisogno di credenze largamente condivise: prima fra tutti, appunto, la fiducia. Ad esempio (e i napoletani lo sanno bene), dubitare del fatto che i propri concittadini si fermeranno al semaforo rosso spingerà a rallentare a ogni incrocio paralizzando il traffico. Beh, di questi tempi è come se noi tutti vivessimo una crisi di fiducia reciproca nella convinzione che, siccome il nostro prossimo cercherà di rovinarci se solo potrà
farlo (passando col rosso a tutta velocità), sia bene sgravarsi di qualsiasi responsabilità, respingendo qualunque scelta discrezionale quasi fosse cicuta (e insomma frenando e paralizzando chi ci sta attorno).
Somiglia molto alla medicina difensiva - che spinge i dottori a gravarci di analisi spesso inutili per evitare poi di essere citati in giudizio - il criptico avviso di allerta arancione emanato erga omnes dalla Protezione civile campana domenica a mezzogiorno, pauroso come una maledizione biblica, che
il sindaco descrive a suo modo nel ping pong d’accuse del giorno dopo: «Un atteggiamento molto pilatesco... due righe inquietanti... attenzione fiumi, torrenti, Eolo, pioggia!». È un buon modo, certo, per sgravarsi la coscienza e passare il cerino al prossimo della fila. Solo che, in fondo alla fila delle responsabilità, c’è un ex magistrato il quale, memore dei guai (anche penali) capitati a suoi colleghi sindaci per avere (male) interpretato gli allarmi meteo, non ha nessuna voglia di scottarsi le dita.
Dunque proclama massimo zelo e chiusure garantite ogni volta che dalla Protezione civile gli preconizzeranno catastrofi, sia pure generiche. Considerando che i nostri inverni portano ormai fenomeni meteorologici sempre più estremi, gli unici a stare allegri potrebbero essere - beata incoscienza - gli studenti in vista d’un anno scolastico tutto stop and go. Con un rischio: che, all’ennesimo allarme, i napoletani finiscano per far spallucce. E, ribaltando Bronner, decidano di passare tutti assieme col rosso, a tutta velocità.