Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Fofi: vi racconto chi era Ramondino
Goffredo Fofi: «Napoli ha il dovere di ricordarla: Rimane uno dei grandi personaggi del nostro Novecento»
«Fabrizia era molte cose insieme, la sua personalità aveva mille sfaccettature, era napoletana e milanese, spagnola e tedesca, radicata nella sua cultura ma anche fortemente proiettata verso l’Europa».
Goffredo Fofi è tra i ventuno relatori che oggi (alle 17) all’ex Asilo Filangieri di Napoli si alterneranno nel ricordo della scrittrice napoletana scomparsa dieci anni fa. L’anniversario esatto della morte è stato in realtà il 23 giugno, ma nessuna iniziativa — istituzionale o meno — finora ha celebrato la memoria di questa singolare, schiva e combattiva intellettuale. Arriva dunque a proposito l’incontro di oggi, che mette insieme voci diverse, da Mario Martone, che con la Ramondino lavorò tra l’altro alla sceneggiatura di «Morte di un matematico napoletano», ad Arturo Cirillo, attore e amico di famiglia della scrittrice. Ancora, da Sergio Lambiase a Titti Marrone e a Maria Liguori, da Enrico Pugliese a Giuseppe Merlino, numerosi i protagonisti di oggi, molti dei quali furono amici e compagni di strada della Ramondino.
«Fabrizia», ricorda ancora Fofi, che con lei ha condiviso esperienze militanti negli ananni
ni Settanta, «veniva da una certa borghesia decaduta. Ricordo lo zio, quello raccontato in Althenopis, che scriveva sonetti shakespeariani e li avrebbe voluti pubblicare in carta pregiata e perciò non trovava editori... Però questo tipo formazione non le ha impedito di avere grande attenzione per quello che definì con felice intuizione il proletariato marginale di Na- poli, diverso dal sottoproletariato. Quello napoletano, marginale, lavorava per le industrie del Nord, in condizioni disperate. Per esempio le ragazze che facevano le scarpe nei vicoli e si ritrovavano poi paralizzate a cause delle colle. “Proletariato marginale” fu un’immagine non convenzionale, molto importante per i militanti del ‘68». Fabrizia Ramondino ebbe negli dei movimenti intense frequentazioni: «I suoi amici erano Rosa Rossi, Laura Gonzales, Giovanni Mottura, Enrico Pugliese. Partecipò all’Arn, associazione risveglio Napoli con Vera Lombardi, alle attività e ai corsi per educatori vicino Sorrento e a tante altre iniziative per i bambini, per le donne».
L’impegno politico, da una parte, quindi. Anche con l’inchiesta che proprio Fofi le commissionò: Napoli: i disoccupati organizzati, pubblicata da Feltrinelli nel ‘77. E dall’altra, più tardivo, l’esordio letterario con Althenopis. «I suoi riferimenti erano Elsa Morante e Anna Maria Ortese, entrambe non napoletane di nascita, ma per passione. Due scrittrici visionarie, con una impostazione in un certo modo filosofica. Spinta dalla loro influenza, Fabrizia ha osato farsi scrittrice a tutto tondo. Anche se secondo me i suoi libri più riusciti sono quelli che mescolano inchiesta e ricordo, mentre considero meno importanti i romanzi veri e propri». Cercare oggi filiazioni o eredi è assai arduo, in letteratura come nel campo della militanza. «Fabrizia è stata una figura femminile importante degli anni Settanta e Ottanta soprattutto. Anni in cui agivano sulla scena pubblica e intellettuale donne come l’esponente radicale Maria Teresa Di Lascia, vincitrice di un premio Strega postumo; Lucia Mastrodomenico, fondatrice della Mensa dei bambini proletari a Salita Tarsia; la filosofa Angela Putino. Persone scomparse precocemente forse perché, come dicevano gli antichi, care agli dei. Napoli rappresentava in quegli anni un grande crocevia di tensioni diverse e Fabrizia Ramondino incarnava una tale varietà di cose che però avevano dei costi: per esempio era nevrotica, beveva e non ne faceva mistero. Ma è stata uno dei grandi personaggi del ’900 a Napoli e la città ha il dovere di ricordarla». Perché aveva scelto di ritirarsi a Itri? Per delusione e distacco dalla sua
A Itri
«Un piccolo rifugio di intellettuali, dove poteva anche vivere la vita di paese»
città o per desiderio di quiete? «Voleva stare tranquilla, era stata sempre in prima linea pagandone lo scotto e questo l’aveva stancata. Ma non aveva abbandonato Napoli, ci andava continuamente. Itri era un piccolo rifugio di intellettuali e al tempo stesso un luogo dove poter vivere la vita di paese. In pratica, le condizioni ideali per lei che sapeva raccogliere confidenze, uscire per strada e parlare con le vecchiette. Fabrizia era così, attirava le confessioni del prossimo. Era curiosa e interessata. Oggi ne sentiamo la mancanza».