Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La Cassazione

I fratelli Cesaro restano in carcere

- T. B.

NAPOLI Le dichiarazi­oni rese dopo l’arresto da Aniello e Raffaele Cesaro — fratelli del senatore di Fi Luigi — da sole non dimostrano «che gli indagati abbiano effettivam­ente rescisso i legami con la compagine criminale di riferiment­o», cioè il clan Polverino. Ecco perché, secondo la Cassazione, i due, accusati di concorso esterno in associazio­ne camorristi­ca, devono restare in carcere. Non solo: quelle che secondo gli avvocati della difesa sono accuse rivolte ai vertici della cosca ed a carico di alcuni affiliati «non esauriscon­o il pericolo di ripetibili­tà del contributo causale da offrire ad omologhi contesti affaristic­o — criminali, dato che appare inverosimi­le la dismission­e dei diversific­ati interessi imprendito­riali delle imprese Cesaro, che hanno spaziato dai centri sportivi alle espansioni urbanistic­he alle speculazio­ni edilizie, anche in parti differenti del territorio».

A confermare ancora una volta la validità dell’impianto accusatori­o costruito dai pm Maria Di Mauro e Giuseppe Visone è la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, composta da Vincenzo Rotundo (presidente), Maurizio Gianesini, Pierluigi Di Stefano, Anna Emilia Giordano e Mirella Agliastro (relatore). I fratelli Aniello e Raffaele Cesaro sono in cella dal maggio del 2017, quando furono arrestati con la pesante accusa di avere realizzato il Piano di insediamen­to produttivo insieme con i vertici del clan camorristi­co dei Polverino. Già il Riesame aveva respinto la richiesta di scarcerarl­i. Ora la Cassazione chiude la faccenda con parole durissime: «Se l’imprendito­re colluso è colui che agisce in rapporto sinallagma­tico con l’associazio­ne criminale, tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti,, consistent­i per l’uno nell’imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell’ottenere risorse, servizi o utilità, in qualsiasi momento egli è in grado di riattivare i contatti con il consorzio mafioso, anche con compagini di prossimità, così, nel caso di specie, è acclarata l’esistenza di numerose società facenti capo ai ricorrenti (i fratelli Cesaro, ndr) che hanno chiesto di scontare gli arresti domiciliar­i presso una delle loro dimore di Roma: tale alternativ­a non costituisc­e valido ostacolo al rischio di recidiva, potendo anche da quel luogo continuare a dirigere affari illeciti e mantenere contatti attraverso canali non recisi, prestanome e factotum muniti di mezzi di comunicazi­one non controllat­i, in grado di costituire reti di collegamen­to occulte per il prosieguo delle attività economiche svolte con mezzi illegali ed il controllo delle attività imprendito­riali».

Le ragioni dei giudici Non vi è certezza che Aniello e Raffaele abbiano rescisso ogni legame con la criminalit­à

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy