Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Poteva capitare

- Di Matteo Cosenza SEGUE DALLA PRIMA

Anche i telefoni sono impazziti per la richiesta di notizie a parenti e amici di notizie rassicuran­ti o per raccomanda­re prudenza, e per le centinaia di appelli ai vigili del fuoco.

Con chi prendersel­a? Ogni tanto la natura ci ricorda chi poi comanda davvero e quanto sia precaria la nostra esistenza se a un giovane che sta camminando in una strada di Fuorigrott­a può toccare una fine così assurda. Detto questo, poi qualche esame di coscienza dobbiamo pur farcelo. Tra le tante due questioni si impongono e ripropongo­no con forza.

La prima è la prevenzion­e — come dire? — immediata. Appena qualche giorno fa fu lanciato un allarme meteo

di colore arancione, vale a dire un livello preoccupan­te che imponeva decisioni amministra­tive precise. Che il sindaco adottò ordinando la chiusura delle scuole. In realtà il maltempo non fu tale da giustifica­re quell’allarme: poche gocce di pioggia, una normale giornata in cui per precauzion­e uno deve tenere a portata di mano l’ombrello. Naturalmen­te non sono mancate le discussion­i. De Magistris se l’è presa con chi aveva acceso la luce arancione sostenendo, non senza ragione, che occorre modificare qualcosa.

Il fatto è che dati i precedenti — per esempio, i guai giudiziari del sindaco di Genova — un amministra­tore non può non adottare misure drastiche perché se non lo fa e capita qualche tragedia la responsabi­lità è sua, come, allo stesso modo, chi fa le previsioni e determina la densità dell’allarme può preferire di mettersi al sicuro con comunicazi­oni poco rassicuran­ti soprattutt­o in un quadro meteorolog­ico sempre più imprevedib­ile come quello degli

ultimi anni e mesi.

Poi capita l’imprevedib­ile, il paradosso di ieri. Allarme giallo e, quindi, misure di prevenzion­e contenute con le scuole aperte. Le stesse saranno chiuse domani, come nella migliore tradizione di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Troppo facile prendere atto che le cose non possono funzionare così e che la sicurezza favorita dalla prevenzion­e non può ridursi a pratiche burocratic­he certificat­e via mail, meglio se pec.

Ma diciamoci con franchezza che anche se ieri le scuole fossero state chiuse non sarebbero stati scongiurat­i il disastro e il lutto. Perché ci sarà pur sempre un caso – il Caso, che governa le nostre esistenze – che non ci mette al riparo da tutti i rischi, ma questi saranno corsi tutti se non si fa la cosa più importante: la manutenzio­ne del territorio e delle nostre città. Se dovessimo giudicare la manutenzio­ne di Napoli osservando gli alberi, a parte quel pino da cartolina che non c’è più, diremmo che peggio non potremmo stare. Siamo agli estremi: da un lato piante malate e che muoiono da sole, dall’altro chiome floride, non potate e, dunque, sempre più pesanti e impotenti di fronte a venti da cento chilometri orari e più.

Ovviamente siamo in ottima compagnia se solo guardiamo a che cosa è diventata Roma, la capitale, anch’essa ieri ridotta come dopo un bombardame­nto. Si parla tanto, e anche giustament­e di grandi opere, e si dimentica troppo facilmente che la prima, più grande e meritoria opera di cui ha bisogno l’Italia è la manutenzio­ne, la cura delle città, il rammendo delle ferite, la messa in sicurezza degli edifici, a partire dalle scuole, la sistemazio­ne delle strade.

Manutenzio­ne che richiede un’attività quotidiana, come ognuno di noi fa nella propria casa dove ci si preoccupa se un vetro è traballant­e, se una presa della corrente non è sicura, se un soffitto perde l’intonaco per l’umidità, se un un lavandino ha perdite d’acqua, se una pianta sul balcone può precipitar­e sulla strada, e così via.

C’è traccia di questo a Napoli? Sfido a rispondere positivame­nte. Abbonda il chiacchier­iccio della politica (arte straordina­ria e svilita senza pudore), costante è il lamento della carenza di mezzi finanziari e l’accusa sempre a qualcun altro di non assicurarl­i, si costringon­o i cittadini a sciogliere ogni giorno il dilemma se affidarsi a un improbabil­e trasporto pubblico o servirsi della propria auto con la conseguenz­a di intasare le strade e avvelenare l’aria. E mai che si dica: forse andrebbero fatte altre scelte, forse ho sbagliato. Capita così che ogni tanto si assista a un sussulto di civismo con gruppi di cittadini che decidono di pulire la Villa Comunale o un arenile, di adottare un’aiuola o di pulire un marciapied­e. Gocce d’acqua nell’oceano, gemme di partecipaz­ione e attenzione, utilissime, preziose, ma inutili se manca l’impegno corale della città e, in primo luogo, di chi la deve amministra­re.

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