Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA FINE DELLE BELLE GIORNATE

- Di Giancristi­ano Desiderio

Il sole sta a Napoli come la nebbia alla Val Padana. Almeno fino a lunedì scorso, quando la bella giornata è diventata brutta. Drammatica. È accaduto quando Davide Natale è uscito di casa ed è morto schiacciat­o dalla caduta di un pino dopo aver frequentat­o una lezione universita­ria. Il vento era forte, ma di vento forte non si muore nemmeno a Trieste dove la bora soffia e fischia a oltre 120 km orari. Una fine assurda. «Mai più una morte così», hanno detto con dolore e con rabbia gli amici e le amiche di Davide. Ma non è la prima volta che a Napoli (non solo a Napoli, d’accordo) si muore in modo assurdo. Era già accaduto cinque anni fa: Cristina Alongi morì a via Aniello Falcone colpita da un albero. Non c’era vento, splendeva il sole. «La tragedia di mia sorella — ha detto Elio Alongi nell’intervista rilasciata a Mirella Armiero — non ha insegnato nulla. Napoli non è una città sicura». A distanza di cinque anni, e con un’altra morte assurda, si sa che gli alberi non sono stati potati e curati a dovere. Ci ha pensato la bufera che ne ha divelto e abbattuti circa duecento e se c’è stato un solo morto è una fortuna. Ieri a Napoli è stata un’altra giornata di passione con la Protezione civile che ha diramato un allarme meteo con criticità «arancione» per Ognissanti (fino alla prima mattinata del seguente giorno dei morti).

Ma sono state le raffiche del lunedì nero di ottobre a spazzare via il mito della bella giornata di sole. Raffaele La Capria sul mito solare vi ha costruito una bellissima carriera letteraria. Epuire, ormai, ciò che resta della bella giornata napoletana è davvero solo il mito. Il mare — verrebbe da dire con Anna Maria Ortese — non bagna più Napoli che, infatti, è diventata una città pericolosa anche quando è assolata. Il comune, guidato da due mandati da Luigi De Magistris, ha alzato bandiera bianca. Contro i danni e i rischi, anche mortali, del maltempo non c’è altro da fare che assicurars­i.

Tuttavia, non è solo questione di maltempo e di mancanza di manutenzio­ne. A Napoli la morte assurda è sempre in agguato anche se non si muove una foglia. Il 9 luglio 2014 morì Salvatore Giordano, il ragazzino colpito dai pesanti calcinacci della Galleria Umberto. Gli avvocati della famiglia dissero: «Tragedia che poteva e doveva essere evitata». Che faceva Salvatore? Passeggiav­a. Insomma, fare la cosa più naturale di tutte a Napoli, passeggiar­e, è diventata un’attività rischiosa. Si esce di casa al mattino e non si sa se si ritornerà la sera sani e salvi. Sembra uno sketch di Massimo Troisi ma è la cruda realtà. Il pericolo arriva dal cielo. Napoli cade. A volte può accadere anche che venga giù un palazzo intero, come avvenne il 4 marzo 2013 a Riviera di Chiaia quando crollò Palazzo Guevara di Bovino.

Il caso, solo il caso evitò che ci fossero morti. Ma il pericolo arriva anche dalla terra perché si aprono voragini improvvise, proprio come accaduto ieri a Mergellina, e si rischia di essere inghiottit­i. A volte, quando piove un po’ di più, sembra di uscire dalla realtà e di entrare nel romanzo di Nicola Pugliese: Malacqua. Oppure, è il romanzo che ha dentro di sé la realtà acquosa di Napoli. Chissà. Sta di fatto che la bella giornata è finita da un pezzo.

Aver ucciso la bella giornata è la più grave delle colpe. Il migliore dei programmi politici è quello capace di restituire a Napoli la sua bella giornata di sole. Ma, ormai, è un programma divino o, al massimo, letterario.

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