Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL PAPA AIUTI IL POPOLO DELLA SANITÀ
Appena pubblicata la sentenza della Corte di Giustizia che impone alla Repubblica italiana di recuperare l’Ici non versata dalla Chiesa cattolica, il cardinale Ravasi si è precipitato a Napoli per chiedere alla cooperativa La Paranza, che gestisce le catacombe di San Gennaro, di pagare quanto dovuto alla Curia romana proprietaria del sito. Evidentemente in Vaticano hanno letto male la sentenza dei giudici del Lussemburgo. Il principio di concorrenza impone che l’Italia, paese fondatore dell’Unione europea, tratti allo stesso modo tutti i soggetti che competono sul mercato, senza concedere aiuti economici ad alcuni e non ad altri. Vuol dire che se gli enti ecclesiastici svolgono attività commerciali (alberghi, ristoranti, cliniche ecc.) devono pagare le tasse esattamente come i loro concorrenti. È un principio sacrosanto che la Corte di Cassazione aveva già affermato nel 2005, ma che il Governo Berlusconi, in quella sgangherata rincorsa di ogni artificio che potesse limitare i danni di una sconfitta annunciata che furono i mesi precedenti le elezioni politiche del 2006 (e la cui vittima più illustre fu la legge elettorale maggioritaria scelta direttamente dal popolo con i referendum del 1993), vanificò, approvando una legge che esentava gli enti ecclesiastici dal pagamento dell’Ici.
Per il diritto europeo è un aiuto di Stato illegittimo. I funzionari della Curia romana, leggendo la sentenza, anziché mettersi a far di conto per saldare quanto dovuto allo Stato italiano, hanno evidentemente ritenuto che anche la Città del Vaticano, Stato non aderente all’Unione europea e non vincolato a rispettare il principio di concorrenza che ne informa l’ordinamento, dovesse trattare tutti allo stesso modo nell’esazione delle gabelle. Ma stanno commettendo un errore giuridico e, soprattutto, un grave errore politico.
Dal punto di vista giuridico, la convenzione burocraticamente invocata dal Vaticano aveva a fondamento un equilibrio economico che non teneva conto degli ingenti investimenti che i ragazzi della Sanità hanno fatto. Se mi dai in concessione un bene malmesso che viene visitato da poche persone e concordiamo che io ti debba una quota dell’incasso, poi se dopo dieci anni io ho investito milioni di euro per valorizzare il bene e ho centuplicato le visite, i termini dell’accordo vanno rivisti, perché non rispettano il basilare principio della remunerazione del capitale investito che ispira il sistema delle concessioni. Più semplicemente, se la Curia vuole mantenere le condizioni concordate all’epoca, deve restituire ai ragazzi della cooperativa gli investimenti sostenuti sino a ora.
Ma se questo problema lo possono risolvere affidandosi a giuristi un po’ più smart di quelli che li hanno consigliati sin qui, sul piano politico le cose sono più complesse.
Con la gestione delle catacombe di San Gennaro, la cooperativa La Paranza dà lavoro a cinquanta ragazzi, i quali in dieci anni si sono pagati uno stipendio, ossia si sono costruiti da soli un lavoro onesto in un quartiere difficilissimo, e non hanno mai distribuito gli utili, sempre reinvestiti nella manutenzione del sito.
Sul piano economico è un’operazione di successo, gestita con criteri aziendali sani in una città, e in una zona della città, dove questa non è certo la regola. Ma le catacombe hanno svolto per la Sanità anche un ruolo più ampio: si entra dalla chiesa di Capodimonte, si scende a visitare le catacombe e si esce da un portone nel cuore del quartiere, aprendolo alla città e al turismo. Molto della rinascita che il quartiere ha vissuto negli ultimi anni ha avuto inizio dall’apertura di quella porta. La Sanità è un dedalo chiuso con un accesso obbligato dai Vergini, per cui non ci entrava nessuno. Visitando le catacombe si sbuca in mezzo al quartiere, facendoci entrare un po’ di mondo e offrendo una prospettiva di sviluppo ai suoi abitanti.
È evidentemente un’opera meritoria di benemeriti della città, della quale un’istituzione caritatevole come la Chiesa cattolica dovrebbe andare fiera. Anziché comportarsi come un qualsiasi rentier che reclama la sua pigione, il Vaticano dovrebbe sostenere e valorizzare un’esperienza che, partendo da un bene ecclesiastico, ha costituito un’occasione di vita sana per cinquanta ragazzi e per un intero rione popolare.
Ma il Papa, questo meraviglioso gesuita anticonformista sempre dalla parte dei più deboli, lo sa che i suoi cardinali fanno gli esattori con i ragazzi de La Paranza?