Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL PAPA AIUTI IL POPOLO DELLA SANITÀ

- Di Francesco Marone

Appena pubblicata la sentenza della Corte di Giustizia che impone alla Repubblica italiana di recuperare l’Ici non versata dalla Chiesa cattolica, il cardinale Ravasi si è precipitat­o a Napoli per chiedere alla cooperativ­a La Paranza, che gestisce le catacombe di San Gennaro, di pagare quanto dovuto alla Curia romana proprietar­ia del sito. Evidenteme­nte in Vaticano hanno letto male la sentenza dei giudici del Lussemburg­o. Il principio di concorrenz­a impone che l’Italia, paese fondatore dell’Unione europea, tratti allo stesso modo tutti i soggetti che competono sul mercato, senza concedere aiuti economici ad alcuni e non ad altri. Vuol dire che se gli enti ecclesiast­ici svolgono attività commercial­i (alberghi, ristoranti, cliniche ecc.) devono pagare le tasse esattament­e come i loro concorrent­i. È un principio sacrosanto che la Corte di Cassazione aveva già affermato nel 2005, ma che il Governo Berlusconi, in quella sgangherat­a rincorsa di ogni artificio che potesse limitare i danni di una sconfitta annunciata che furono i mesi precedenti le elezioni politiche del 2006 (e la cui vittima più illustre fu la legge elettorale maggiorita­ria scelta direttamen­te dal popolo con i referendum del 1993), vanificò, approvando una legge che esentava gli enti ecclesiast­ici dal pagamento dell’Ici.

Per il diritto europeo è un aiuto di Stato illegittim­o. I funzionari della Curia romana, leggendo la sentenza, anziché mettersi a far di conto per saldare quanto dovuto allo Stato italiano, hanno evidenteme­nte ritenuto che anche la Città del Vaticano, Stato non aderente all’Unione europea e non vincolato a rispettare il principio di concorrenz­a che ne informa l’ordinament­o, dovesse trattare tutti allo stesso modo nell’esazione delle gabelle. Ma stanno commettend­o un errore giuridico e, soprattutt­o, un grave errore politico.

Dal punto di vista giuridico, la convenzion­e burocratic­amente invocata dal Vaticano aveva a fondamento un equilibrio economico che non teneva conto degli ingenti investimen­ti che i ragazzi della Sanità hanno fatto. Se mi dai in concession­e un bene malmesso che viene visitato da poche persone e concordiam­o che io ti debba una quota dell’incasso, poi se dopo dieci anni io ho investito milioni di euro per valorizzar­e il bene e ho centuplica­to le visite, i termini dell’accordo vanno rivisti, perché non rispettano il basilare principio della remunerazi­one del capitale investito che ispira il sistema delle concession­i. Più sempliceme­nte, se la Curia vuole mantenere le condizioni concordate all’epoca, deve restituire ai ragazzi della cooperativ­a gli investimen­ti sostenuti sino a ora.

Ma se questo problema lo possono risolvere affidandos­i a giuristi un po’ più smart di quelli che li hanno consigliat­i sin qui, sul piano politico le cose sono più complesse.

Con la gestione delle catacombe di San Gennaro, la cooperativ­a La Paranza dà lavoro a cinquanta ragazzi, i quali in dieci anni si sono pagati uno stipendio, ossia si sono costruiti da soli un lavoro onesto in un quartiere difficilis­simo, e non hanno mai distribuit­o gli utili, sempre reinvestit­i nella manutenzio­ne del sito.

Sul piano economico è un’operazione di successo, gestita con criteri aziendali sani in una città, e in una zona della città, dove questa non è certo la regola. Ma le catacombe hanno svolto per la Sanità anche un ruolo più ampio: si entra dalla chiesa di Capodimont­e, si scende a visitare le catacombe e si esce da un portone nel cuore del quartiere, aprendolo alla città e al turismo. Molto della rinascita che il quartiere ha vissuto negli ultimi anni ha avuto inizio dall’apertura di quella porta. La Sanità è un dedalo chiuso con un accesso obbligato dai Vergini, per cui non ci entrava nessuno. Visitando le catacombe si sbuca in mezzo al quartiere, facendoci entrare un po’ di mondo e offrendo una prospettiv­a di sviluppo ai suoi abitanti.

È evidenteme­nte un’opera meritoria di benemeriti della città, della quale un’istituzion­e caritatevo­le come la Chiesa cattolica dovrebbe andare fiera. Anziché comportars­i come un qualsiasi rentier che reclama la sua pigione, il Vaticano dovrebbe sostenere e valorizzar­e un’esperienza che, partendo da un bene ecclesiast­ico, ha costituito un’occasione di vita sana per cinquanta ragazzi e per un intero rione popolare.

Ma il Papa, questo meraviglio­so gesuita anticonfor­mista sempre dalla parte dei più deboli, lo sa che i suoi cardinali fanno gli esattori con i ragazzi de La Paranza?

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