Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il nuovo business dei clan, fare la cresta sull’Iva

False fatture, imprese-fantoccio e affari in Emilia. A giudizio anche il boss delle stese

- Fabio Postiglion­e

NAPOLI Il boss aveva una lista lunghissim­a su un pezzo di carta. Cognomi e nomi di imprendito­ri del suo quartiere, i loro indirizzi di casa, i familiari da circuire e all’occorrenza minacciare, quello di cui si occupavano e soprattutt­o le città nelle quali costruivan­o con successo i propri affari.

Con quella lista sempre aggiornata per il capoclan era tutto più facile. A uno a uno venivano contattati in modo «pacifico» da emissari in giacca e cravatta, che salivano sul primo treno per Bologna e da lì in auto fin nel cuore della pianura padana. Poche parole e partiva l’affare della camorra di San Giovanni a Teduccio che ha inventato un nuovo e sofisticat­o modo per riciclare i milioni di euro che arrivano dai traffici di droga. I boss creano società ed emettono fatture per lavori inesistent­i. Le fatture vengono liquidate dagli imprendito­ri sotto minaccia. E fino a qui nulla di nuovo. La differenza con il passato è tutto nelle pagine di una nuova inchiesta che ha travolto la camorra della periferia orientale di Napoli, quella delle «stese» e delle faide ventennali.

Succede che i soldi per pagare quelle fatture agli imprendito­ri glieli passano in contanti gli emissari del boss. E allora qual è il guadagno? L’Iva, quella viene pagata dall’imprendito­re estorto, subito e in contanti con tagli piccoli, facili da ridistribu­ire «e che servono per i carcerati». In sostanza tutto risulta in regola, invisibile agli occhi degli investigat­ori. Il clan D’Amico ha creato una società, la «Gip Metallica», intestata a un prestanome, con sede all’estero e conti correnti attivi in diverse banche. Dall’altra parte, è stato scoperto il coinvolgim­ento di imprese edilizie di due fratelli di San Giovanni che hanno trovato fortuna a Reggio Emilia e Parma e hanno lasciato San Giovanni da un decennio. Sono loro che hanno pagato fatture di 7 mila euro, poi 28 mila, poi 15 mila euro, soldi che ricevevano sottobanco dalla camorra, e poi versato l’Iva al 24% per ognuna di quelle fatture. Soldi tracciabil­i e «puliti». Un’operazione incredibil­e di autoricicl­aggio che il gip Claudio Marcopido ha ricostruit­o passaggio dopo passaggio nell’ordinanza che ha coinvolto il boss Salvatore D’Amico detto il Pirata, che era stato scarcerato per scadenza termini dopo una condanna a 19 anni per camorra, ritenuto vicino ai Mazzarella; il suo braccio destro Salvatore Cianiello, ragioniere della cosca, e l’insospetta­bile con l’accento del Nord Salvatore Salomone. Con loro sono indagati anche Giovanni Paudano, Salvatore Taglialate­la e Mauro Cirullo. Sei persone accusate di estorsione e di riciclaggi­o. Adesso sono tutti sotto processo perché il pm ha chiesto per loro il giudizio immediato. «La camorra ha affinato le tecniche di riciclaggi­o — scrive il gip — perché ricevano dagli imprendito­ri minacciati

Il pm La camorra ha affinato le tecniche di riciclaggi­o, così ricevono dagli imprendito­ri minacciati soldi con bonifici regolari e tracciabil­i

soldi con bonifici regolari e tracciabil­i. La contaminaz­ione criminale in cui versa il territorio è notoria», ma questa nuova attività di riciclaggi­o «appare come un male endemico che sta affliggend­o imprendito­ri e commercian­ti, spesso responsabi­li di una sostanzial­e passività e omertà umanamente comprensib­ile, ma certamente devastante ai fini della tutela penale».

L’inchiesta è partita dopo la denuncia dei due fratelli fatta ai carabinier­i il 12 aprile: «Non ce la facciamo più, non vogliamo partecipar­e a questo riciclaggi­o», hanno detto dopo aver raccontato di essere stati costretti ad un summit con boss e suoi emissari. «C’erano telecamere e sentinelle ovunque». Poi una mattina fu addirittur­a affisso un volantino sotto casa della sorella dei due imprendito­ri minacciati «che ancora vive a San Giovanni». C’era scritto: «Dite a vostro fratello che ha tempo fino a domani».

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