Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Vi racconto le notti magiche e le speranze dei nostri vent’anni»
Paolo Virzì racconta alla Reggia di Caserta il suo film scritto con Francesco Piccolo
«Mi hanno riempito di mozzarelle al punto che... Lei mi ha chiesto se farò un film qui? Le rispondo che lo farò di certo, ho già in mente la sceneggiatura: ci sono due camerieri che devono portare a un ricevimento un carello pieno di mozzarelle, ma durante il percorso gli succederà sempre qualcosa. Nella parte degli interpreti vedrei bene i due fratelli Servillo, ecco...». Scherza Paolo Virzì, ieri dopo un bel pranzo a Caserta, ospite d’onore della bella rassegna «Maestri alla Reggia». Con lui Francesco Piccolo, scrittore casertano, suo cosceneggiatore, coinvolto con un’altra grande cineasta, Francesca Archibugi, nell’ultimo film del premiatissimo regista livornese. Che è proprio di ottimo umore, forse per via del meraviglioso luogo dove si trova (la Reggia vanvitelliana) per affrontare l’incontro pubblico con Pascale, non prima di aver fatto una bella passeggiata digestiva su per il parco.
«Sì, la Reggia sarebbe una bellissima location per un film, ma ci vedrei bene anche una festa, tipo rave, o anche una bella sede di «Eataly”. Che ne dice? Non era qui che i camerieri dicevano a Clinton e a Blair che era un luogo magico per fare i bambini, oltre che per fare jogging?
Bando agli scherzi, Virzì passa a parlare del suo film, l’ultimo, «Notti magiche». Il riferimento ai Mondiali di calcio in Italia dell’estate del ‘90 (e alla canzone ufficiale del duo Bennato-Nannini) non è per niente casuale. Un “Amarcord”? Che parolone! Certo, dentro c’è la rievocazione di un periodo in cui avevamo vent’anni, un pezzetto di vita in una grande città, tanti sogni di ragazzi, che mentre si consumavano, appunto, le “notti magiche”, sognavano. I riferimenti al calcio ci sono per forza, dalla voce di Pizzul a Lineker, Gullit e al gol di Scillaci. Un mese di notti magiche, ammalianti, che viaggiavano parallelamente alle speranze di tre giovani sceneggiatori. Poi, la clamorosa sconfitta, la beffa, la delusione (ma solo calcistica)».
Scritto da Paolo Virzì con Piccolo e l’Archibugi, il film racconta del ritrovamento del cadavere di un noto produttore cinematografico nel Tevere proprio nella notte in cui l’Italia fu eliminata ai rigori dall’Argentina ai Mondiali di Italia ’90. I sospettati dell’omicidio sono tre giovani aspiranti sceneggiatori interpretati da Mauro Lamantia, Giovanni Toscano e Irene Vetere, attorniati da un cast stellare formato da Giancarlo Giannini, Paolo Bonacelli, Roberto Herlitzka, Giulio Scarpati, Ornella Muti, Andrea Roncato e molti altri. A presentarlo un duo per niente inedito come quello formato dal regista livornese e dallo sceneggiatore casertano, nell’ambito della rassegna d’incontri, organizzata alla Reggia di Caserta dall’Università Vanvitelli, con «Ciak» e con la direzione artistica di Remigio Truocchio, moderato da Alessandra De Luca.
Qui Piccolo ha raccontato dei primi incontri con Virzì. «Ero timoroso - ha detto - e non scrivevo per il cinema, poi ho conosciuto Paolo che mi ha telefonato, parlandomi della storia di “My name si Tanino”. E Virzi: «Subito ho visto Piccolo come un fratellone, come se fosse di Livorno: malinconia e umorismo ci uniscono. Da allora cinque film insieme, lui ha scritto intanto libri bellissimi e sceneggiature. Ora siamo non vecchi ancora... siamo nella fase che Arbasino definiva quella del “solito stronzo”».
«Notti magiche» è un po’, anzi molto, autobiografico. Nella storia, infatti. c’è tanto delle esperienze di vita sia di Virzì che di Piccolo. Il regista conferma: «Arrivai a Roma nel gennaio 85. Vinsi inaspettatamente concorso al centro sperimentale con borsa di 650 mila lire al mese. Ero convinto di tornare poi a fare le supplenze, mi stavo per laureare in storia del Risorgimento. Poi sono stato irretito da questo mondo sexy, io che venivo dalla piccola provincia... Cominciai come sceneggiatore e provocatoriamente dicevo che i registi non servivano a nulla. La realtà che osservai quando arrivai a 20 anni era molto più eccessiva di quella che raccontiamo, tra sublime e volgarissimo, ma fu la cosa che ci fece dire a me e Francesco: “Roma voglio stare qui tutta la vita». Gli fa eco lo scrittore-sceneggiatore: «Appena arrivato a Roma vidi “Ferie d’agosto” e i film di Moretti. Una generazione che si era già riscattata. Quel sogno che abbiamo dato ai tre ragazzi del film sono in realtà i sogni miei e di Paolo e della Archibugi. Quella voglia un po’ ingenua che si ha all’inizio. Quando quel mondo sembrava gigantesco e difficilissimo da affrontare».