Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LE VOCI DI UNA CITTÀ PLURALE

- Di Maurizio de Giovanni

Questa città ha sempre dovuto confrontar­si col racconto. Perché ce l’ha nel sangue e le scorre nelle vene e nei capillari, quel reticolo immenso e privo di logica che è l’intreccio di vicoli e di strade, nessuno dei quali abbastanza ampio da consentire un distacco anche momentaneo degli sguardi. Questa città è appunto un tessuto, la cui trama è e resta indecifrab­ile se si tenta di interpreta­rne la chiave universale, ma che in compenso si può guardare filo per filo, incrocio per incrocio, e se ne può appunto narrare la prospettiv­a singola come fosse tutto lì, e tutto lì non è mai, in nessun caso. CasaCorrie­re ieri ha provato a razionaliz­zare dando spazio alle voci, e il coro che ne è venuto fuori è stato come al solito meraviglio­samente dissonante, ognuno il suo spartito e la sua idea e tuttavia è stata fornita la solita, spettacola­re sinfonia. Per cui quelli venuti da fuori sono rimasti come sempre a bocca aperta, e il pubblico come sempre non voleva andarsene, e le parole e le note e il luogo si sono messi a cantare insieme tra loro. Lo Studio Keller, che ha ospitato l’appuntamen­to al quale si sono registrati in moltissimi e in molti si sono bellamente e orgogliosa­mente infiltrati fino a comporre la solita marea umana di sorrisi e di occhi luccicanti, è un altro posto speciale. Scenario di fiction e cenacolo culturale, dove si immaginano proposte di riorganizz­azione urbana e si riceve invece una magia, ha spiegato in silenzio una volta di più ai napoletani di che materia sia fatto l’interno dei palazzi attraverso i quali si è composta la nostra storia.

Ai non napoletani, invece, ha raccontato quanta bellezza ancora ci sia da scoprire e da raccontare oltre quella che scala le classifich­e dell’accoglienz­a e diventa ogni giorno di più una moda. E di Napoli si parla, delle difficoltà di un’industria culturale che tarda a nascere, del silenzio di investitor­i che propongano e si propongano, dell’assenza dell’invenzione di un sistema. Si parla del racconto necessario, di come la città sia plurale, di quante voci esistano e di un giornale che sceglie di ospitarne il racconto attraverso scrittori giovanissi­mi, giovani e diversamen­te giovani. Nessun giornale ha tanti scrittori a bordo, e così diversi l’uno dall’altro: e così dev’essere, se si vuole raccontare la città dai mille volti.

Parlano tutti, e si ride e si riflette. Voci affilate, come quella di Antonio Polito, voci calde, come quella di Viola Ardone, voci lievi e importanti, come quelle di Virgilio, Fiore, Piedimonte, Petrella, voci accorate e poetiche come quella di Vladimiro Bottone. Voci che siete abituati ad ascoltare da queste colonne, voci che raccontano la città plurale; e il pensiero di Paolo Repetti, editore di Einaudi, è di sorridente, felice sorpresa.

Ma quando il suono di ‘Mbarka Ben Taleb, Marco Zurzolo e Davide Costagliol­a si intreccia con il cuore e l’anima di Cristina Donadio e Manlio Santanelli, be’, carissimi, è lì che gli assenti hanno tutto il torto del mondo.

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