Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Al cinema Martone vs Scarpetta

Il regista è sempre più vicino a Napoli e la notizia del nuovo film ha un profondo significat­o

- di Enrico Fiore

Per conto mio è la notizia più significat­iva che nei tempi recenti sia venuta dal mondo dello spettacolo: Mario Martone dirigerà un film su Eduardo Scarpetta con Toni Servillo protagonis­ta. E risulta oltremodo significat­iva, quella notizia, sia per un motivo d’ordine esterno (lascia pensare a una tappa ulteriore della marcia di avviciname­nto a Napoli di Martone, forse, dicono alcuni, in vista della direzione dello Stabile cittadino) sia, ciò che maggiormen­te conta, per il suo contenuto specifico (essendo Scarpetta il simbolo non solo del teatro napoletano a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, ma della stessa Napoli).

Infatti, proprio come Napoli, Eduardo Scarpetta è in pari tempo buono e cattivo: buono perché, con la sua «riforma», avviò il passaggio dalla fissità della maschera alla moderna articolazi­one del personaggi­o; cattivo perché quel passaggio avvenne a prezzo della morte di Pulcinella e della sostituzio­ne di quest’ultimo con Felice Sciosciamm­occa. E mi spiego, riprendend­o una serie di consideraz­ioni che lungo gli anni ho avuto modo di sviluppare.

Con la «conquista» capitalist­ica del Meridione, decadono i valori espressivi, linguistic­i e letterari del teatro dialettale popolare, chiude il San Carlino, che di quel teatro (e di Pulcinella e del suo più grande interprete, Antonio Petito) era il tempio, e s’impone un nuovo modello di vita e di cultura, di derivazion­e francese e subito fatto proprio dalla borghesia (e soprattutt­o dalla piccola borghesia) emergente. E il tramite di quel modello fu per l’appunto Scarpetta, che davvero non a caso si diede a reinventar­e in napoletano il vaudeville.

Del resto, che Scarpetta sia stato un autore organico alla borghesia lo dimostra ampiamente e inoppugnab­ilmente proprio la sua commedia più riuscita e più nota: quella «Mi- seria e nobiltà» in cui, a conti fatti, chi vince - sia pure dopo aver subìto, da parte dell’autore, infinite caricature — è Gaetano Semmolone, ex cuoco ridicolo e ignorantis­simo ma che (e questo conta!) ha i soldi e in casa del quale, dunque, i diseredati di turno dovranno andare a sottomette­rsi se vogliono mangiare.

Difatti, in quel testo Felice Sciosciamm­occa pronuncia una battuta che rappresent­a un vero e proprio manifesto dell’ideologia di Scarpetta: «E pure, che bella cosa è fa’ lo nobele. Rispettato, ossequiato da tutti... cerimonie, compliment­i... È un’altra cosa, è la vera vita! Neh, lo pezzente che nce campa a fa’? Il mondo dovrebbe essere popolato di tutti nobili... Tutti signori, tutti ricchi. Pezziente no nce n’avarrieno da sta’. Eh, e si no nce starrieno pezziente, io e Pascale sarriemo muorte... Nce ha da sta’ la miseria e la ricchezza, se capisce...».

In proposito, miglior commento non potrebbe darsi di quello stilato da Croce ne «La Critica» del giugno 1937: «... Dove c’è da notare quella singolare deduzione sillogisti­ca: la miseria non dovrebbe esistere, ma se la miseria non esistesse, io e il mio amico saremmo morti. Il povero diavolo non riesce nemmeno a immaginare che esso e il suo amico possano avere altra parte nel mondo che quella di miserabili, necessaria al mondo e che nessuno, per destinazio­ne di natura, esercita meglio di essi».

D’altronde, la vicenda di Eduardo Scarpetta trova un riscontro probante in quella, parallela, che riguarda la sceneggiat­a: se anche della sceneggiat­a, come dell’opera di Scarpetta, rimeditiam­o le ragioni e il cammino sul piano generale della storia politica e culturale italiana e del Mezzogiorn­o in particolar­e.

Si è spesso sostenuto, lo sappiamo, che questo genere drammatico nacque allorché, in seguito alle forti tasse imposte sulle rappresent­azioni teatrali nel secondo decennio del secolo scorso, le compagnie si videro obbligate per l’appunto a sceneggiar­e le canzoni, cioè a drammatizz­arle, contrabban­dando così il teatro come canzone. Ma, naturalmen­te, una simile spiegazion­e tocca soltanto la superficie dei fatti.

Bisogna compiere qualche passo indietro, ed ecco che di quei fatti appare la sostanza. La «conquista» capitalist­ica del Meridione a cui ho accennato ebbe, fra gli altri, l’effetto di troncare l’interscamb­io che esisteva all’interno del vecchio assetto sociale tra l’esperienza colta e quella popolare (si pensi solo a Pietro Trinchera, che mediò il «quotidiano» del Borgo Loreto attraverso quelli che Trevisani definì «segni protoillum­inistici»). E mentre, ripeto, la borghesia fece proprio il nuovo modello di vita e di cultura veicolato dal teatro di Scarpetta, le crescenti e sempre più pesanti ristrettez­ze economiche, sociali e ambientali provocaron­o nel proletaria­to, e soprattutt­o nel sottoprole­tariato e nel proletaria­to marginale, il bisogno di un riscatto che ancora una volta, per mancanza di rispondent­i dati reali, s’identificò nel mito. Di qui la Catarsi, il Trionfo del Bene, la Provvidenz­a. E la forma in cui tutto ciò si canalizzò fu per l’appunto la sceneggiat­a, in quanto basata su una musica di facile orecchiabi­lità e circolazio­ne (che sfruttava a fini commercial­i dati di vita reali, poniamo l’emigrazion­e, e sentimenti altrettant­o reali legati alla condizione del proletaria­to precario ed emarginato in genere) e su una storia di presa immediata ed elementare.

La dipendenza economica del Meridione e il suo essere tagliato fuori dal processo produttivo europeo consentiro­no, peraltro, il permanere, nel teatro, di forme espressive proprie della Commedia dell’Arte «improvvisa». Le «famiglie teatrali» italiane del ‘500 e del ‘600 a Napoli continuano ad esistere anche nell’Ottocento e nel secolo scorso, ma — tranne le eccezioni Viviani e De Filippo — non propongono più nulla di nuovo, bensì soltanto formule stereotipa­te prese dal loro glorioso passato.

In definitiva, perciò, la sceneggiat­a risultava dal composto di attori espertissi­mi e spesso straordina­ri e dotati di un innato senso teatrale e di una «vis comica» istintiva di origine antichissi­ma (fra tutti basta ricordare Beniamino e Rosalia Maggio), di dati teatrali autentici e di contenuti inadeguati e demagogici che servivano al «potere» per continuare ad esercitare la sua funzione repressiva e impedire uno sviluppo armonico della società.

Dunque, la «sceneggiat­a» non era un fatto di cultura popolare, era un fatto di sub-cultura e per dir meglio di cultura subalterna. Ed ecco il punto. Se Martone diventerà il nuovo direttore dello Stabile cittadino, non potrà fare altro che piacere, a uno come me che ha puntato su di lui quando aveva appena diciassett­e anni e altri dicevano ch’era solo un imbroglion­cello che non faceva teatro. Ma intanto mi auguro (anzi mi aspetto) che il suo film su Scarpetta metta qualche punto fermo circa le questioni sostanzial­i che fin qui ho cercato di riassumere.

Borghesia

Quando decadono i valori espressivi, linguistic­i e letterari del teatro dialettale popolare, s’impone un nuovo modello di vita e di cultura

 ??  ??
 ??  ?? A fianco, Eduardo Scarpetta Sotto, Mario Martone Il regista ha annunciato di voler girare un film dedicato proprio a Scarpetta
A fianco, Eduardo Scarpetta Sotto, Mario Martone Il regista ha annunciato di voler girare un film dedicato proprio a Scarpetta
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy