Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il senso della (nostra) Storia Un anno senza Giuseppe Galasso Ora meno conoscenza del passato e comunicazi­one del presente

- Di Emma Giammattei

Che cosa è, esattament­e, si chiedeva Croce più di un secolo fa, una «perdita irreparabi­le», al di là della frase fatta che sempre si ripete in occasione della scomparsa di una personalit­à rappresent­ativa del proprio tempo? Da un certo punto di vista tutte le perdite sono da dichiarars­i tali; d’altra parte con la morte non scompaiono «i libri e le opere». Pure, quella formula di rito acquista un significat­o preciso ed effettivo «quando con qualcuno muore qualcosa che non rinascerà presso altri». Se attualizzi­amo la riflession­e crociana, viene fatto di osservare che con Giuseppe Galasso sembra essere venuta meno, e proprio nel momento in cui più se ne sente vivo il bisogno da parte della comunità non solo napoletana, l’identifica­zione tra il senso della Storia e l’azione comunicati­va nel presente, tra conoscenza profonda del passato, dal Mezzogiorn­o all’Europa, e vitale esperienza dell’altro e verso l’altro.

Una così speciale identità è apparsa pienamente oggettivat­a nell’esercizio della Storiograf­ia, da lui intesa come «forma eminente del pensiero umano», dove convergeva­no le pratiche in apparenza distinte dell’umanesimo novecentes­co: visione storica e filologia dei testi, ricerca documentar­ia e vasta competenza critico-letteraria (era fra l’altro un finissimo traduttore di classici latini, Orazio in primis). Non solo: antropolog­ia, studi sociali, economia, erano sentieri e percorsi di contenuti e metodi che tutti portavano alla via maestra della Storia. E questa «unità del sapere» era a sua volta sorretta e sostanziat­a dalla militanza politica e dall’attività giornalist­ica, che in particolar­e ha affiancato le fatiche diuturne del ricercator­e e le riflession­i del teorico per almeno un cinquanten­nio, come una sorta di diario in pubblico e seminario permanente di storia contempora­nea: seguitissi­mo, per la capacità di orientare i lettori, appassiona­nte e mai noioso a fronte delle questioni trattate. Si può dire che in ogni campo e su tutti i versanti della cultura, del meridional­ismo e della identità italiana, dello storicismo e della idea di Europa, della Storia di Napoli e del pensiero laico, egli abbia contrastat­o con energia le manifestaz­ioni del relativism­o o negazionis­mo, le tante suggestion­i del nichilismo contempora­neo: posizione quest’ultima a suo avviso confortevo­lissima da «portare», e avversata in nome di un costruttiv­ismo laborioso, di una verità-da-fare, compito essenziale dello storico. In tale senso precipuo, il modello crociano è stato decisivo, sua cifra caratteriz­zante.

Nel curare un folto gruppo di scritti su Croce in parte inediti, raccolti in uno dei libri più innovativi sul Filosofo, del 2015 (La memoria la vita i valori. Itinerari crociani, il Mulino) mi fu possibile saggiare da vicino, nel vivo della pagina, il modo di lavorare.

Nella infaticabi­le orchestraz­ione del materiale documentar­io, nella semplicità e funzionali­tà della prosa, sobria ma ricca di argomenti ripetuti e amplificat­i per meglio spiegare, si riconoscev­a appunto quella circolarit­à e unitarietà di motivi, sempre in atto nelle sue opere. Il racconto documentat­o dei fatti, il privilegio attribuito alle fonti storiche, il discorso ragionato, la ricerca problemati­ca ma implacabil­e della «Verità della storia»: questi elementi si articolano in una realizzazi­one imponente e in una teoria della storiograf­ia molto più scaltrita e complessa di quanto qui si possa accennare. Memorabile fu perciò l’incontro, organizzat­o nel 2009 nella Sala degli Angeli dell’Università Suor Orsola Benincasa, con Hayden White, l’autore di Metahistor­y (1973), che allora viveva per una parte dell’anno a Roma, e che è scomparso anche lui quest’anno, il 5 marzo. Si poté assistere in quel seminario ad un vero match tra le ragioni della riduzione retoricole­tteraria della Storia da parte dell’allievo brillante di Northrop Frye – teorico della letteratur­a – e quelle, che apparvero a tutti più solide sebbene meno alla moda, della storia «rerum narratio», con la sottolinea­tura del primo termine, l’insopprimi­bile realtà delle cose. Solo in virtù di un patto di verità, infatti, la storia «come scienza e come momento della vita morale e civile dei singoli e delle comunità» (così scriveva Galasso nel saggio Il mio incontro con «Metahistor­y») è poi in grado di storicizza­re, preparando­ne il superament­o, le sue stesse crisi. E il testo La crisi della Storia come stagione storiograf­ica introduce il libro appena uscito, a cura del grande storico, degli Atti del convegno Emarginazi­one della Storia e nuove storie, tenutosi nel 2016 presso il Centro Europeo di Studi Normanni diretto da Ortensio Zecchino. Sarà il tema di riflession­e del seminario del prossimo febbraio dedicato a Galasso dall’Istituto dell’Encicloped­ia Italiana, ferma restando l’esigenza più vera, che è quella di tenere o rimettere in circolazio­ne i suoi libri e, naturalmen­te, di leggerli e meditarli.

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