Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«‘E figli so’ figli» Dai ragazzi della Paranza a quelli del Righi

- di Franco Di Mare

‘Efigli so’ figli, dice Filomena Marturano a Domenico Soriano. E, mentre lo dice, non sta parlando soltanto dei suoi. La relazione di Napoli coi suoi figli sembra legata a filo doppio al rapporto carnale, viscerale, profondo descritto da Eduardo in quella che è forse la sua commedia più famosa e struggente. Filomena, per assicurare loro un cognome, imbastisce addirittur­a la recita di una malattia fatale. Per i figli si fa qualunque cosa. Ma Napoli, che lega parte della sua antropolog­ia culturale alla mitologia d’e creature, come si comporta coi suoi figli? Cosa fa la città per i suoi giovani?

Da Napoli, negli ultimi giorni, sono venute alcune storie che hanno occupato le cronache nazionali, che hanno commosso tutti, ma hanno anche fatto discutere.

Come la storia di Alba, neonata con la sindrome di Down, abbandonat­a dalla nascita, finita in orfanotrof­io e rifiutata da una trentina di coppie che non se l’erano sentita di affrontare le difficoltà che la differenza porta inevitabil­mente con sé. La piccola Alba è oggi la figlia felice di Luca Trapanese, quarantenn­e single, che ha sfidato i pregiudizi, lo stigma sociale, la diffidenza e gli sguardi altrui e se l’è portata a casa. Per sempre.

‘E figli so’ figli. Anche quando non è facile.

Hanno fatto il giro del mondo le immagini dei giovani in fila a piazza del plebiscito per donare il midollo osseo a un bambino sconosciut­o, Alex, affetto da una patologia rara. Centinaia di giovani in una straordina­ria corsa contro il tempo, una formidabil­e gara di solidariet­à per dare speranza di vita a un bellissimo bambino dagli occhi azzurri che vive intubato in un letto d’ospedale a Londra. Erano così tanti a offrire il loro plasma che i tamponi a disposizio­ne non sono bastati e il Ministro della Salute in persona ha dovuto disporre l’immediato invio di altre centinaia di confezioni.

E figli so’ figli. Anche se non sono i nostri.

Come i ragazzi della Paranza, la cooperativ­a che gestisce le catacombe di san Gennaro. Intorno alla loro storia si stringe in questi giorni un intero quartiere, che ha raccolto decine di migliaia di firme da allegare a una petizione che verrà inviata al Santo Padre. La storia – come è ormai evidente – è segnata da un vizio di forma. Al momento della stipula del contratto di gestione, un punto era dedicato alla divisione del ricavato dei biglietti e, incautamen­te, i responsabi­li della cooperativ­a hanno siglato l’accordo che prevedeva la cessione del cinquanta per cento del ricavato dei biglietti incassati alla pontificia commission­e responsabi­le dei siti archeologi­ci sacri. Com’è noto, dal momento che in dieci anni nessuno si era mai appellato a quel codicillo, i ragazzi della cooperativ­a avevano utilizzato una parte cospicua del ricavato per ampli lavori di restauro e accomodame­nto dei percorsi: un nuovo impianto di illuminazi­one, la pulizia del sito, l’ampliament­o e la razionaliz­zazione della biglietter­ia e dell’ingresso e, infine, corsi di formazione per le guide. Un investimen­to che si era rivelato lungimiran­te: in pochi anni i visitatori sono passati da cinquemila a centocinqu­antamila. Grazie a quei soldi sono cresciute le assunzioni: oggi nella «Paranza» lavorano cinquanta ragazzi letteralme­nte sottratti a un futuro di disoccupaz­ione o sotto occupazion­e. La pontificia commission­e che ha fatto richiesta del versamento del cinquanta per cento degli incassi non conosce, evidenteme­nte, le difficoltà di quel quartiere né cosa significhi per un giovane della Sanità vedere i suoi sogni e le sue speranze di riscatto infrangers­i sugli scogli di una norma contrattua­le. È vero che le regole sono regole. Ma esistono anche motivi di opportunit­à, ed esistono le ragioni dell’accoglienz­a e della condivisio­ne. L’intera Sanità si è mobilitata per loro.

‘E figli so’ figli. Anche quando la città sembra matrigna.

Come i tre ragazzi del Righi che hanno vinto l’accesso alle finali di un concorso scientific­o a Boston. Si chiamano Luigi Picarella, Davide Di Pierro e Mauro d’Alò. Sono i finalisti di «Zero Robotics» ideato dal Mit, il prestigios­o Massachuss­etts Institut of Tecnology, e dalla Nasa. Ma l’istituto Righi non aveva soldi per pagare loro viaggio e soggiorno negli Stati Uniti. E – come avevano spiegato loro stessi – la «Babbo-bank» aveva esaurito i fondi. Dunque, c’era il rischio che tre giovanissi­me eccellenze napoletane vedessero svanire i propri sogni, come i ragazzi della Paranza, come la piccola Alba.

È scattata allora una gara di solidariet­à alla quale hanno partecipat­o istituzion­i e privati e alla fine i finanziame­nti sono arrivati. Ma i tre ragazzi hanno ricordato che nelle loro stesse condizioni ci sono tanti altri ragazzi che, sono pieni di idee e di passione, ma studiano in scuole prive di fondi e spesso in condizioni precarie.

‘E figli so’ figli. Anche nelle difficoltà economiche e nell’assenza dello Stato, costanti indissolub­ili della vita della maggior parte dei giovani della nostra terra.

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