Corriere del Mezzogiorno (Campania)
DIECI ANNI DI INUTILI BATTAGLIE
Lo smaltimento dei rifiuti è un problema tecnico, non filosofico. Non è questione di avere un punto di vista o un altro o di approcci culturali e scientifici differenti. Non è, in sintesi, un problema politico. La decisione politica è discrezionale per definizione, nel senso di scegliere tra diverse opzioni quella che si ritiene migliore. Ma ogni scelta politica, anche quella legislativa, deve rispettare il principio di ragionevolezza, ossia deve essere assunta sulla base di un esame corretto dei dati di fatto in base ai quali si decide. Più semplicemente, la politica ha l’obbligo di rispettare il principio di realtà: se una cosa è tecnicamente impossibile non è un’opzione di indirizzo politico legittimamente praticabile. Nel caso dei rifiuti, la tecnologia attualmente a disposizione non consente di rinunciare ai termovalorizzatori: alcuni rifiuti possono essere riciclati e, quindi, si organizza un sistema di raccolta differenziata, ma ciò che resta deve essere bruciato o mandato in discarica. In Campania, negando il principio di realtà, negli ultimi dieci anni è successo di tutto. La mancata realizzazione del termovalorizzatore di Acerra nei termini previsti fu la causa principale della crisi drammatica del 2008.
Era indispensabile, naturalmente, ma si opponevano tutti coloro che pensavano di poterne trarre qualche beneficio, persino il vescovo e qualche ministro dello stesso governo in carica che, tramite un suo commissario, realizzava l’impianto: roba da trattamento sanitario obbligatorio.
Aperto con l’intervento dell’esercito quell’impianto, il tema dei rifiuti entrò in modo significativo nella campagna
elettorale per il Comune di Napoli, durante la quale De Magistris promise di arrivare oltre il 70% di raccolta differenziata in sei mesi, così da evitare di dover costruire altri impianti. Prometteva, cioè, di fare arrivare Napoli in pochi mesi al livello di Stoccolma. Erano, naturalmente, fantasie elettorali e infatti dopo oltre sette anni siamo (è notizia di ieri) al 38% e, presumibilmente, lì rimarremo a lungo.
L’emergenza è stata risolta spedendo, a pagamento, i nostri rifiuti in giro per il mondo in attesa di mettere a punto un piano rifiuti che nessuno ha voglia di approvare, perché se è vero che le scelte tecniche sono obbligate, è altrettanto vero che la decisione di dove
mettere gli impianti è una scelta politica che porta inevitabilmente via consenso a chi la assume: not in my backyard dicono i cittadini e not in my backyard ripetono tutti gli amministratori locali per conservare le loro poltrone.
La cosa si è incancrenita al punto che l’Unione europea ha aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per la crisi dei rifiuti di Napoli e della Campania, che è costata e continua a costare centinaia di milioni di euro di sanzioni. Tutti i dati sono noti e non c’è bisogno dì ripeterli, se non per dire che l’impianto di Acerra smaltisce oltre 700.000 delle quasi 1.300.000 tonnellate di rifiuti indifferenziati che la Campana produce
in un anno e inquina molto meno del livello massimo consentito dalle norme europee, dalle norme nazionali e persino da quelle specifiche per il suo esercizio. Si tratta, quindi, di una struttura indispensabile e sicura in ragione di dati di fatto.
In questa situazione, dopo De Magistris, cui va riconosciuto il merito di essere stato un’avanguardia sul punto, sono arrivati i Cinque stelle che hanno assunto una posizione ancora più nettamente contraria alla realtà della tecnologia disponibile, salvo poi fare marcia indietro nei comuni che amministrano, perché banalmente la realtà è la realtà e i rifiuti non è che ce li possiamo mangiare.
Questo circuito perverso potrebbe averlo interrotto Salvini che, incontrando il prefetto di Napoli, ha dichiarato che gli inceneritori sono indispensabili. Temo che sia solo una mossa politica per mettere in difficoltà gli alleati, ma, assumendo che il ministro degli interni sia in buona fede, il nodo diventa la chiusura netta dell’altro azionista, peraltro maggioritario, del governo. Luigi Di Maio, cittadino campano che qui ha raccolto una montagna di voti, ha dichiarato che gli inceneritori non si devono fare perché sarebbero un affare per la camorra. Cioè non perché sono inutili o dannosi e ci sono tecnologie migliori, ma perché altrimenti la camorra fa affari. È una posizione semplicemente avvilente.
In primo luogo perché se una cosa è necessaria chi sta al governo non può solo dire di no, come quando si baloccava nel tepore dell’opposizione, ma ha l’onere di formulare una proposta alternativa. In secondo luogo, la camorra gli affari li fa con la situazione attuale, che forse anche per questo non si riesce a sbloccare. I termovalorizzatori sono impianti complessi e costosi gestiti da grandi aziende (nel caso di Acerra, A2A, multiutility lombarda quotata in borsa) non certo dai clan, mentre i piccoli e numerosi impianti di stoccaggio non si sa bene in mano a chi siano e, infatti,
vengono dolosamente incendiati uno dietro l’altro.
Sono sempre stato convinto che la soluzione della crisi dei rifiuti campana sia quella di approvare un piano a livello nazionale, di allontanare la decisione dagli equilibri politici locali, di fare cioè l’interesse generale allontanando la decisione dagli interessi particolari. Questo ruolo spetta al governo.
Speriamo, allora, di non essere alle prese con le solite scaramucce politiche sulla pelle dei cittadini napoletani e che la maggioranza gialloverde apra una discussione seria per affrontare un problema che ormai rischia di diventare cronico.