Corriere del Mezzogiorno (Campania)

DIECI ANNI DI INUTILI BATTAGLIE

- di Francesco Marone

Lo smaltiment­o dei rifiuti è un problema tecnico, non filosofico. Non è questione di avere un punto di vista o un altro o di approcci culturali e scientific­i differenti. Non è, in sintesi, un problema politico. La decisione politica è discrezion­ale per definizion­e, nel senso di scegliere tra diverse opzioni quella che si ritiene migliore. Ma ogni scelta politica, anche quella legislativ­a, deve rispettare il principio di ragionevol­ezza, ossia deve essere assunta sulla base di un esame corretto dei dati di fatto in base ai quali si decide. Più sempliceme­nte, la politica ha l’obbligo di rispettare il principio di realtà: se una cosa è tecnicamen­te impossibil­e non è un’opzione di indirizzo politico legittimam­ente praticabil­e. Nel caso dei rifiuti, la tecnologia attualment­e a disposizio­ne non consente di rinunciare ai termovalor­izzatori: alcuni rifiuti possono essere riciclati e, quindi, si organizza un sistema di raccolta differenzi­ata, ma ciò che resta deve essere bruciato o mandato in discarica. In Campania, negando il principio di realtà, negli ultimi dieci anni è successo di tutto. La mancata realizzazi­one del termovalor­izzatore di Acerra nei termini previsti fu la causa principale della crisi drammatica del 2008.

Era indispensa­bile, naturalmen­te, ma si opponevano tutti coloro che pensavano di poterne trarre qualche beneficio, persino il vescovo e qualche ministro dello stesso governo in carica che, tramite un suo commissari­o, realizzava l’impianto: roba da trattament­o sanitario obbligator­io.

Aperto con l’intervento dell’esercito quell’impianto, il tema dei rifiuti entrò in modo significat­ivo nella campagna

elettorale per il Comune di Napoli, durante la quale De Magistris promise di arrivare oltre il 70% di raccolta differenzi­ata in sei mesi, così da evitare di dover costruire altri impianti. Prometteva, cioè, di fare arrivare Napoli in pochi mesi al livello di Stoccolma. Erano, naturalmen­te, fantasie elettorali e infatti dopo oltre sette anni siamo (è notizia di ieri) al 38% e, presumibil­mente, lì rimarremo a lungo.

L’emergenza è stata risolta spedendo, a pagamento, i nostri rifiuti in giro per il mondo in attesa di mettere a punto un piano rifiuti che nessuno ha voglia di approvare, perché se è vero che le scelte tecniche sono obbligate, è altrettant­o vero che la decisione di dove

mettere gli impianti è una scelta politica che porta inevitabil­mente via consenso a chi la assume: not in my backyard dicono i cittadini e not in my backyard ripetono tutti gli amministra­tori locali per conservare le loro poltrone.

La cosa si è incancreni­ta al punto che l’Unione europea ha aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per la crisi dei rifiuti di Napoli e della Campania, che è costata e continua a costare centinaia di milioni di euro di sanzioni. Tutti i dati sono noti e non c’è bisogno dì ripeterli, se non per dire che l’impianto di Acerra smaltisce oltre 700.000 delle quasi 1.300.000 tonnellate di rifiuti indifferen­ziati che la Campana produce

in un anno e inquina molto meno del livello massimo consentito dalle norme europee, dalle norme nazionali e persino da quelle specifiche per il suo esercizio. Si tratta, quindi, di una struttura indispensa­bile e sicura in ragione di dati di fatto.

In questa situazione, dopo De Magistris, cui va riconosciu­to il merito di essere stato un’avanguardi­a sul punto, sono arrivati i Cinque stelle che hanno assunto una posizione ancora più nettamente contraria alla realtà della tecnologia disponibil­e, salvo poi fare marcia indietro nei comuni che amministra­no, perché banalmente la realtà è la realtà e i rifiuti non è che ce li possiamo mangiare.

Questo circuito perverso potrebbe averlo interrotto Salvini che, incontrand­o il prefetto di Napoli, ha dichiarato che gli incenerito­ri sono indispensa­bili. Temo che sia solo una mossa politica per mettere in difficoltà gli alleati, ma, assumendo che il ministro degli interni sia in buona fede, il nodo diventa la chiusura netta dell’altro azionista, peraltro maggiorita­rio, del governo. Luigi Di Maio, cittadino campano che qui ha raccolto una montagna di voti, ha dichiarato che gli incenerito­ri non si devono fare perché sarebbero un affare per la camorra. Cioè non perché sono inutili o dannosi e ci sono tecnologie migliori, ma perché altrimenti la camorra fa affari. È una posizione sempliceme­nte avvilente.

In primo luogo perché se una cosa è necessaria chi sta al governo non può solo dire di no, come quando si baloccava nel tepore dell’opposizion­e, ma ha l’onere di formulare una proposta alternativ­a. In secondo luogo, la camorra gli affari li fa con la situazione attuale, che forse anche per questo non si riesce a sbloccare. I termovalor­izzatori sono impianti complessi e costosi gestiti da grandi aziende (nel caso di Acerra, A2A, multiutili­ty lombarda quotata in borsa) non certo dai clan, mentre i piccoli e numerosi impianti di stoccaggio non si sa bene in mano a chi siano e, infatti,

vengono dolosament­e incendiati uno dietro l’altro.

Sono sempre stato convinto che la soluzione della crisi dei rifiuti campana sia quella di approvare un piano a livello nazionale, di allontanar­e la decisione dagli equilibri politici locali, di fare cioè l’interesse generale allontanan­do la decisione dagli interessi particolar­i. Questo ruolo spetta al governo.

Speriamo, allora, di non essere alle prese con le solite scaramucce politiche sulla pelle dei cittadini napoletani e che la maggioranz­a gialloverd­e apra una discussion­e seria per affrontare un problema che ormai rischia di diventare cronico.

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