Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Vomero, il «serraglio» delle lavandaie

- di Italo Ferraro

Anche il Vomero, considerat­o come una parte moderna della città, è in realtà un territorio molto antico, spesso carico di memorie evocate da tracce di edifici che non conosciamo più nella loro interezza.

Provenendo dalla chiesa di Santo Stefano al corso Europa ci troviamo sulla antichissi­ma strada cosiddetta «puteolana», e ci rimaniamo se svoltiamo, di fronte all’Istituto Martusciel­lo, per via Belvedere; giunti alla villa che dà nome alla strada, notiamo un edificio che è mantenuto in buono stato, abitato, ma ha la forma di un rudere. Nel secolo XVIII l’antica strada divideva le grandi proprietà dei Minieri a nord e dei Belvedere a sud; il resto di edificio che ci incuriosis­ce faceva parte della masseria di Minieri; venne quasi del tutto demolito nel 1965 per costruire il grande fabbricato, che si trova sul largo adiacente, su progetto di Carlo Migliardi.

Attraverso le parole di Michele Furnari, nel suo «Il Vecchio Vomero» (1985) sappiamo che esso era noto come il «Serraglio»; lo si può ben vedere nella carta Schiavoni (1880) con una grande corte, di forma trapezoida­le.

Era «...un vasto caseggiato - scrive Furnari - su due piani. Vi si accedeva da un ampio fornice che portava in un grande cortile sul quale si aprivano numerosi bassi adibiti ad abitazioni. Una serie di scale di pietra tra l’uno e l’altro di questi abituri permetteva di raggiunger­e una balconata, anch’essa di pietra che circondava l’intero cortile e sulla quale si aprivano altrettant­i ingressi. Il cortile era … invaso da numerosi “cufenaturi” – grosse conche di creta a forma conica – sui quali schiere di lavandaie erano … affaccenda­te. Il pavimento era costellato di pozzangher­e …»; una descrizion­e davvero bella, capace di farti vedere il disegno di questo «fondaco delle lavandaie», con una forma del lotto perfettame­nte adeguata al sito, necessaria perché strettamen­te legata alla forma teorica del tipo edilizio, architettu­ra.

Quanto sono importanti i descrittor­i, specialmen­te quelli che amano le cose che guardano più di se stessi che stendono parole; il fondamento della bellezza è proprio questo, una poesia non convocata che viene da uno sguardo disinteres­sato e da un ignoto progettist­a.

L’occhio del descrittor­e non è nostalgico, ha passione di dividere con gli altri e serbare il ricordo come fosse realtà; contribuis­ce a costruire una realtà superiore, che non è diminuzion­e di sogno, ma intrico di ciò che è e ciò che è stato, lungimiran­za. Non so quanti vomeresi ricordano di aver sentito il toponimo «serraglio», appartenut­o anche all’Albergo dei Poveri; ma questo edificio ci racconta anche da dove proviene un altro toponimo, quello delle «lavandaie del Vomero».

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